Gv 15,9-17
Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11 Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14 Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15 Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. 16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17 Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.
Facile dirsi amici di Gesù, ma esserlo è tutt’altra cosa. Innanzitutto l’iniziativa parte da lui. È lui che si fa nostro amico offrendoci l’opportunità di entrare in amicizia con lui. In che modo? Osservando, praticando ciò che lui ha detto e fatto. Non è, quello con il Signore, un rapporto da padrone a servo, ma da amico ad amico. Quindi un rapporto libero, basato su una scelta che nasce dall’averlo conosciuto e dall’essersi innamorati di lui e del vangelo. Non un amore romantico, ma mi verrebbe da dire carnale, nel senso di un amore che non teme di sporcarsi le mani agendo nel mondo, nel proprio ambiente di vita, a favore di chi vive un’esistenza che non è possibile definire umana perché disconosciuti, sfruttati, impoveriti, banditi dalla società dominante. Insomma essere amici del Signore mica significa bearsi cullandosi in una qualche devozione, quasi che lui avesse bisogno di nostri gesti di affetto indirizzati a una sua immagine. Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici, afferma Gesù e i nostri amici, per somigliargli, devono essere gli stessi ai quali lui ha rivolto le sue attenzioni e offerto il suo aiuto, sanando e liberando quanti incontrava sul suo cammino: poveri, lebbrosi, paralitici ecc. Gli scartati di allora. Infatti ci dice che nostro compito è portare un frutto che rimanga: ossia un amore che genera vita negli altri. Fare questo è ciò che ci consente di rimanere nel suo amore e che fa si che la sua gioia sia in noi e sia piena.