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18 mag 2009
ERA SOLTANTO UN SOGNO
Scritto da Piergiorgio |
Letto 8439 volte | Pubblicato in Il mio blog
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Il barcone veleggiava, sì fa per dire, verso le coste africane approdo sperato dei viaggiatori stremati, arsi dalla sete, sull’orlo della disperazione. Quei passeggeri, finalmente si sentivano liberi perché avevano potuto, dopo varie e inenarrabili peripezie, salire a bordo di quello scafo che aveva un nome ben augurale: lega degli uomini liberi. Loro ce l’avevano fatta, o almeno così credevano, a lasciarsi alle spalle mesi di stenti, di prigionia, di fame, di persecuzione. E poi erano ferrati in fatto di diritto internazionale.

Conoscevano a menadito la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, potevano vantare tante conoscenze in campo internazionale, avevano un passato di tutto rispetto, essendo stati ministri e sottosegretari di governo. E poi, che diamine!, erano uomini e donne che possedevano titoli di studio; parlavano diverse lingue. Insomma erano persone di valore. Certamente sarebbero stati accolti, se non con la fanfara, certamente in modo umano. Sarebbero stati ascoltati; avrebbero potuto raccontare le loro storie, avrebbero potuto beneficiare del diritto d’asilo che si apprestavano a richiedere. Anzi, nella loro preveggenza, avevano già riempito i moduli, ultime scartoffie che erano riusciti a salvare nei concitati momenti della fuga. Si trattava soltanto di pazientare ancora qualche ora; tenere duro per quel tanto di tempo che avrebbe permesso loro di essere intercettati dalle navi militari che navigavano al largo e che avevano proprio il compito di prestare loro soccorso. Comparve infine all’orizzonte una sagoma scura che somigliava ad una nave. Iniziarono a sbraciarsi per richiamare l’attenzione e quando il veliero iniziò ad avvicinarsi, si strinsero in un abbraccio, facendo attenzione a non cadere in acqua, cercando di mantenere in equilibrio quel legno che già imbarcava acqua pericolosamente. L’ufficiale della nave comandò all’equipaggio di far salire a bordo i naufraghi e li fece disporre sul ponte in bella vista. Prestò loro i primi soccorsi, li dissetò, diede loro anche da mangiare. Poi s’informò da dove venissero, benché lo conoscesse già quasi con certezza. -Dall’Italia, amico- rispose uno di loro, quello che pareva il capo. E capo lo era stato, infatti. Anche ministro. -E dove vorreste andare?- riprese, l’ufficiale. -Dovunque sia possibile, purché ci sia garantito il diritto di esistere, di condurre una vita che sia un po’ dignitosa, senza il timore di dover essere incarcerati per quello che pensiamo. Magari avere la possibilità di lavorare e appena possibile farci raggiungere dalla famiglia…- -Pure quella!- lo interruppe l’ufficiale, facendo il muso duro. –Ma voi lo sapete che noi abbiamo un accordo con l’Europa, che prevede il vostro rimpatrio immediato?- -Non dirà sul serio- intervenne un altro dei profughi. –Noi è proprio da lì che siamo fuggiti, perché perseguitati. Tutto il continente orami è in mano ai …- Non riuscì a finire quanto stava dicendo, perché la dissolvenza si mangiò le ultime parole del protagonista e il sogno terminò in quel preciso istante. Però avevo avuto il tempo di vedere bene in volto quegli uomini e quelle donne dai volti sfatti, con negli occhi la paura; i sorrisi spenti, senza più baldanza, ridotti a numeri senza alcun valore. Erano in tutto simili agli stessi che avevano respinto in mare loro non molto tempo prima. Era diverso soltanto il colore della pelle, la lingua che parlavano, la religione, giacché di fede era difficile asserire che ne avessero una certa. E quando l’ufficiale, un nero alto e muscoloso, li aveva passati in rassegna quasi a studiarli uno per uno, carpirne i pensieri più nascosti, e aveva proferito quel “Ma voi lo sapete…”, si erano sentiti persi tutti quanti. Qualcuno si era messo a piangere perfino e aveva invocato la pietà che è dei vinti. Mi avevano mosso a compassione per un momento, ma poi al risveglio mi sono detto che il sogno era stato troppo corto. E poi che era (purtroppo!) soltanto un sogno e che qualcuno di lor signori dovrebbe provare per davvero cosa significa trovarsi in quella situazione; non già per finta. Chissà se l’esperienza fatta in prima persona li aiuterebbe ad avere meno certezze, a porsi qualche domanda in più, a cercare altre soluzioni ai drammi della gente. Eppure la storia patria dovrebbe essere maestra. Abbiamo un passato che è fatto di tragedie e di dolori, tutte cose che dovrebbero renderci capaci di capire quelle di altri. Ma forse quella storia non è studiata, o se conosciuta, è anche rinnegata.

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