Cento anni fa stava per terminare “l’inutile strage”, come ebbe a definire il primo conflitto mondiale, l’allora papa Benedetto XV. In questi giorni di fine ottobre il maltempo ha spogliato il Trentino di una quantità di piante tante quante ne aveva estirpate quel conflitto.
Osservando le ferite che il maltempo ha inferto a dossi e montagne non posso non riandare con la mente alla data che da ragazzino, a scuola, ci insegnavano a festeggiare come sigillo di vittoria dell’esercito italiano. Allora non comprendevo e, come tutti i miei compagni, ero indotto a pensare a quella guerra, alla vittoria conseguita, secondo i più classici schemi stereotipati. Crescendo mi sono andato formando una coscienza diversa; di rifiuto di ogni tipo di guerra e di repulsa di ogni violenza. Innumerevoli volte mi sono ritrovato a riflettere circa l’assurdità delle guerre in generale, ai motivi che le innescano, le foraggiano e che spingono gli stati a una continua costosissima corsa agli armamenti. Oggi con tutta probabilità i proclami di un tempo, la retorica del passato non avrebbero grande consenso, tuttavia è indubbio che anche ai nostri giorni, come avvenuto nel passato, dal momento che ogni guerra ha bisogno di ragioni e motivazioni che appaiano, agli occhi dell’opinione pubblica, condivisibili e possibilmente di grande valore, si ricorra alla menzogna, al sotterfugio, alla manipolazione, usando tutto l’armamentario (mai parola mi pare più azzeccata di questa) per giustificarne la necessità; o quantomeno l’inevitabilità. Credo che niente sia più veritiero, in tempo di guerra, dell’assunto che il fine giustifica i mezzi. Naturalmente il fine, per poter essere creduto e condiviso dai più ha bisogno di apparire, di essere narrato come un fine nobile. A questo si prestano in molti: taluni in buona fede, i più determinati in cattiva fede. La storia dell’entrata in guerra dell’Italia, nel 1915, ad esempio, ci consegna una verità che a leggerla con lo sguardo di oggi ci appare perfino incredibile. Basti dire che la decisione di entrare in guerra, in buona sostanza, fu presa da sole tre persone: il re Vittorio Emmanuele III, il presidente del Consiglio dell’epoca, Salandra, e da quello degli esteri Sonnino. Ma anche alle nostre latitudini, allora parte dell’Impero Austro-Ungarico, non ci si è fatti scrupolo nello strumentalizzare e vessare l’opinione pubblica perché accogliesse la mobilitazione seguita all’ uccisione dell’ arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d'Austria-Ungheria, e sua moglie Sofia, se non con entusiasmo, certamente con rassegnata approvazione. Ben presto milioni di persone furono coinvolte in una guerra sanguinosissima per il solo appagamento di smisurate ambizioni dei potenti del tempo. Noi che siamo arrivati alla vita tanti anni dopo non possiamo nemmeno immaginare il carico si sofferenze, di lutti, di tragedie personali e famigliari vissute nell’arco dei quattro terribili anni di guerra. Ci rimangono soltanto lapidi, cimiteri, fotografie e racconti di testimoni ormai tutti scomparsi. Oltre diecimila dei nostri nonni sono morti sui campi di battaglia e il saldo finale di quella mondiale mattanza ammonta, secondo le cifre più attendibili, tra i 15 e più di 17 milioni di morti, senza parlare dei feriti e mutilati. Io penso che dinanzi a tanta insensata carneficina non rimanga che un silenzio pensoso, la preghiera, la richiesta di perdono e l’impegno fattivo di tutti perché mai più si ripeta. È impossibile per noi immaginare il paesaggio di morte all’indomani del conflitto e ancor più il dolore insanabile depositato nel cuore di tanti. Osservando boschi, ieri luoghi di gioco, di pascolo con le mucche, di infantili lavori, oggi così deturpati, sfregiati, sfigurati, alterati a causa del maltempo, il mio pensiero va alle migliaia di vite trentine stroncate nel fiore della gioventù in quel conflitto di allora. Vite che avevano vissuto gli stessi luoghi, calpestato gli stessi sentieri, e in quei tronchi sfigurati, feriti, vedo loro che chiedono a noi di non lasciarci mai più raggirare dagli imbonitori di turno, di oggi, che come quelli di allora ci vorrebbero sudditi e non cittadini.