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28 ott 2018
DESIRÉE, NEBRAS E CHIATU
Scritto da Piergiorgio |
Letto 7039 volte | Pubblicato in Il mio blog
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Agghiacciante. Raggela il sangue leggere la storia delle due diciottenni etiopi narrate dall’Espresso di oggi.

Due giovani amiche che per sfuggire alla fame e alla miseria, mosse dal sogno di una vita migliore, intraprendono il viaggio, che è di tanti, attraverso una discesa all’inferno senza poterne più riuscire per Chiatu, mentre per l’amica Nebras termina in una casa di accoglienza in Niger, gestita dall’Unhcr. È inconcepibile che ai nostri giorni esistano situazioni come quelle narrate, ma ancor peggio è sapere che in tutta quella infamante storia una responsabilità indiretta ce l’ha il nostro Paese e pure l’Europa che, non da oggi, hanno demandato il lavoro sporco di trattenere in stato di schiavitù quanti fuggono dai loro paesi, alla Libia, alla polizia di quel Paese che, come per altre tristissime storie, ha avuto ed ha un ruolo non certo marginale o secondario. Ma tant’è, il grido di dolore e di disperazione  delle vittime non arriva alle nostre orecchie e questo ci basta per dormire sonni tranquilli. E quando qualcuna di quelle vittime di percosse, abusi e nefandezze di ogni genere giunge sulle nostre coste, sfuggendo alla morte, ecco che noi ci erigiamo a loro giudici e anziché accoglierle come dovremmo, cercando di sanare le loro profonde e indicibili ferite, da veri azzeccagarbugli stiamo a sottilizzare cercando di distinguere tra migranti che fuggono da guerre e migranti economici, quasi che fuggire dalla fame e dalla miseria non fosse titolo sufficiente per poter ottenere una possibilità di desiderare un futuro diverso, migliore. In questi giorni, doverosamente e giustamente in tanti si sono indignati per l’atroce morte toccata in sorte a Desirée, la giovane stuprata e uccisa a Roma. Per Nebras e Chiatu, anche loro nel pieno della loro giovinezza non c’è stata indignazione, protesta da parte di nessuno. Chiatu è morta a seguito delle violenze subite mentre Nebras, sopravvissuta alla stessa brutale violenza che ha comportato pure una gravidanza non voluta né cercata, è stata salvata dal suicidio quando ha avuto il bambino. Chi potrà mai ripagarla per quanto ha subito? Se fosse arrivata in Italia, con tutta probabilità sarebbe stata rispedita al suo paese di origine, l’Etiopia, perché non le  sarebbe stato riconosciuto il diritto all’asilo politico e forse, ma non è detto, forse tra corsi e ricorsi avrebbe potuto sperare di ottenere la protezione umanitaria in forza di quanto subito. Ecco, a quanti hanno il pelo sullo stomaco e neanche dinanzi a tragedie come quelle narrate sanno mettersi in discussione, cambiare la propria sprezzante opinione nei confronti dei migranti ritenuti tutti o quasi tutti delinquenti o potenzialmente tali, non farebbe male sperimentare sulla propria pelle qualcuna delle traversie  che toccano a loro. Forse allora il loro cuore di pietra si aprirebbe alla compassione e il loro sguardo a una visione diversa. Forse. La violenza, ovunque e comunque agita nel mondo, non ha colore; è solo un fatto disumano, ma stiamo attenti a ritenerlo un portato legato a qualcuno in particolare, quasi fosse un alieno chi la compie. Purtroppo fa parte dell’umano anche se ne è la negazione. E allora la violenza va combattuta con pari impegno ovunque venga perpetrata e da chiunque sia agita perché a nessuna Desirée, Nebras e Chiatu sia negato il diritto a vivere una vita dignitosa e felice.

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