Qualcuno potrebbe obiettare, giustamente, che è molto di più (e forse anche molto meno) la vita, di uno smartphone.
Quello che intendo dire è che la nostra esistenza, pur svolgendosi secondo un determinato ciclo, tuttavia è costitutivamente imprevedibile, per molti aspetti, pertanto richiede capacità di adattamento ai cambiamenti inevitabili di vita. E adattarsi ai cambiamenti non è mai facile; spesso neanche indolore, ma necessario, se si vuol vivere e non vivacchiare, semplicemente. Il progresso incredibile della così detta telefonia intelligente, se da una parte ci ha dotati di strumenti impensabili fino a poco tempo addietro, offrendoci opportunità mai godute prima, dall’altra parte – a me pare – ha finito con l’impoverirci, rendendoci più soli, individualisti, scontenti e fuori dalla realtà.
Soli. Magari ci illudiamo di godere di vere amicizie solo perché ne abbiamo tante di virtuali. Poi, fatta la conta delle persone concrete, in carne ed ossa, che conosciamo, sulle quali contare, scopriamo che sono poche o inesistenti. La solitudine ci fa paura e i più si illudono di poterla sconfiggere gratificandosi con delle cose. Ciascuno di noi ha bisogno di legami significativi e quando non riusciamo a crearli con i nostri simili, finiamo con il cercarli altrove.
Le cose, ancorché buone e necessarie, da sole non riempiono il nostro bisogno di senso, non danno la felicità.
Noi tutti siamo individui, qualche cosa di unico e particolare, quando però ignoriamo il sentirci parte di una collettività, svalutandone gli interessi e le esigenze che il farne parte comportano, ecco che cadiamo nell’individualismo.
Oggigiorno galvanizza la libera espressione, ma quale modalità irresponsabile, facilitata dal poter, in un click, o in un twit, raggiungere innumerevoli persone senza che questo comporti metterci la propria faccia o dover sostenere un contradditorio.
Neanche è richiesto avere particolari conoscenze in ordine a un qualsiasi argomento, dover sostenere una tesi argomentandola, per esprimere una propria opinione, o accodarsi a quella di qualche altra persona.
Ed ecco fiorire le bufale che tante volte hanno più sostenitori delle cose più evidenti, come ad esempio una bella giornata di sole. A fidelizzare centinaia di persone basta talvolta un titolo o l’espressione animosa di qualche personaggio bene in vista, per catalizzare rabbia diffusa.
Viviamo in un’epoca nella quale è richiesta maggior democrazia, trasparenza, onestà, competenza e al contempo, stando a recenti sondaggi, cresce in modo esponenziale la richiesta dell’uomo forte. Pagano maggiormente le parole d’ordine che semplificano al massimo e in modo malato la realtà..
Proposte tendenti a offrire soluzioni drastiche e risolutive, con ridotti margini di agibilità, meno democrazia e diritti per tutti, in nome di una rinascita identitaria costruite sull’assioma amico nemico.
È davvero paradossale che in tante, troppe persone, convivano sentimenti così contrastanti e che in troppi non si avvedano dei pericoli che l’affidarsi a mestatori politici, intrallazzatori di mestiere, comportano.
La politica, il vivere civile, la costruzione sociale, l’identità di una comunità non sono delle App da scaricare. E non possiamo illuderci che basti la rabbia per cambiare le cose. Neanche la protesta. La proposta richiede studio, fatica, passione e consenso. La si costruisce nel tempo, aggregando molti soggetti. Soprattutto, così a me pare, chiede consapevolezza, non incoscienza, superficialità, improvvisazione, perché la vita è anche una cosa seria che chiede cura e molta attenzione.