Siamo ancora capaci di attesa? E se sì, a cosa è rivolta la nostra attesa? Tutti quanti, chi più chi meno, sappiamo cosa sia l’avvento, il periodo di preparazione al Natale. Ma di quale Natale parliamo? Di quello dei mercatini e delle luminarie?
Probabilmente per una gran parte di persone proprio di questo si tratta, e quando il Natale arriva, tutto si conclude con un gran bel cenone; magari una sonora indigestione e una ubriacatura. In un mondo frenetico e sempre di corsa com’ è quello attuale (almeno il nostro) prendersi il tempo per rallentare un poco la corsa, rientrare in se stessi e chiedersi dove si sta andando credo sia semplicemente salutare. E non è neppure necessario essere credenti per avvertirne la necessità e l’urgenza. È semplicemente una questione si sopravvivenza. Allora prendiamocelo il tempo per stare con noi stessi, riscoprendo la bellezza del silenzio e della contemplazione. Attività all’apparenza del tutto inutile e improduttiva, in realtà forse l’ unica capace di farci assaporare il gusto vero della vita. Nel silenzio e nella contemplazione possiamo riscoprire il valore della bellezza, assaporare il gusto delle piccole cose, quelle ordinarie alle quali non prestiamo mai attenzione, riscoprire l’unicità dei volti delle persone, lasciar cadere le tante maschere che quotidianamente indossiamo, riconciliarci con noi stessi accettandoci e amandoci così come siamo.
I sazi e i gaudenti – tra questi possiamo metterci pure noi – hanno disimparato l’attendere. Tutt’al più sanno affrettarsi e impazienti rincorrere momenti successivi, nuovi traguardi, nuovi obiettivi o anche semplicemente aggiungere cose su cose. Attendere implica desiderio unito al saper pazientare, indugiare. Richiede essere bisognosi di qualche cosa che sappiamo non poter soddisfare. L’attesa è speranza di futuro, di vita. L’attesa la scorgo negli occhi dei poveri, dei disoccupati, dei carcerati, dei richiedenti asilo, di quanti fuggono da guerre e povertà, nei giovani e in quanti progettano e lottano per un mondo migliore, e in tante altre persone che non hanno perduto la propria umanità. Se le necessità di quanti nel mondo hanno meno le avvertiamo come nostre, se le ferite e il dolore degli altri li avvertiamo come intollerabili e ci disponiamo a fare la nostra parte per portare sollievo, allora avvertiremo nel profondo il bisogno anche noi di sostegno e, se credenti, potremo invocare l’avvento del Signore in nostro soccorso. Allora potremo anche noi, con gioia e speranza pregare: MARÀNA THA!