È accaduto, questa volta, che un episodio di violenza nei confronti di due operatori del sociale (al Punto d’Incontro), da parte di un ospite, finisse sulla stampa con un certo rilievo e sia stato giustamente stigmatizzato.
Quello che probabilmente molti non sanno è che, pur non essendo qualche cosa all’ordine del giorno, non è del tutto infrequente che dentro le varie strutture che si occupano di offrire servizi di varia natura a persone emarginate, o in situazione di bisogno, nascano conflitti che talvolta possono assumere anche caratteri non proprio pacifici. Fa parte in qualche modo del mestiere. Anche se non ci si abitua mai del tutto, bisogna metterlo nel conto. Tra le tante persone accolte molte sono portatrici di dipendenze anche gravi da sostanze di varia natura, altre sono contrassegnate da disagio psichico, anche grave, e altre ancora vivono con rabbia e frustrazione la loro situazione di emarginazione e povertà per cui non è insolito che scarichino su chi li accoglie tutti questi loro sentimenti di umiliazione, rabbia, insoddisfazione, delusione. Però in tali ambienti trovano al contempo persone che per vicinanza, ascolto, accoglienza riescono, nella maggior parte dei casi, a smussare l’aggressività che si portano dentro aiutandole a comprenderla e trasformarla in energia positiva da impiegare per scopi positivi. Compito non facile che però con pazienza, costanza e tenacia si riesce a perseguire, ed è bello quando questo riesce, magari con persone con le quali in precedenza ci sono stati scontri anche duri. Personalmente credo che questa sia una delle maggiori soddisfazioni di quanti operano in quei contesti. Vedere rinascere le persone a speranza, a nuovi obiettivi di vita, dopo trascorsi difficili, allarga il cuore. E questo è uno degli aspetti meno conosciuti del lavoro, spesso anonimo, di tanti operatori sociali che non compaiono sulle prime pagine dei giornali. Molte persone, osservando dall’esterno l’attività che viene svolta a favore di persone in stato di bisogno, al più sono indotte a pensare che si tratta di attività benefiche, caritative; termini intesi in senso moralistico. La verità nascosta è ben altra. Si tratta di restituire diritti negati, di riconoscere dignità anche alla persona più disgraziata, quella segnata da una storia difficile. Si tratta di dire, più con i fatti che con le parole: per quanto tu possa giudicare diversamente, io non ti sono nemico, ma amico, e la tua vita, la tua sorte mi sta a cuore. Tutto questo però non è creduto solo perché lo si dice o lo si mostra attraverso comportamenti coerenti. Richiede tempo, richiede la capacità di instaurare relazioni sane e sananti con le persone. Questo è difficile ed è un compito in crescendo mai davvero compiuto una volta per tutte. Poi il fatto che determinati servizi, definiti di bassa soglia, come è ad esempio il Punto d’Incontro, nei quali c’è un certo turnover tra gli ospiti, implica necessariamente sempre un ricominciare. Infine, proprio per la sua caratteristica di servizio a bassa soglia, un servizio come quello del Punto d’Incontro e altri analoghi (penso ai vari dormitori, ad esempio), funzionano un po’ come un pronto soccorso: non sai mai chi ti può arrivare e in quali condizioni. Pertanto (purtroppo!) ci possono stare anche accadimenti spiacevoli. La gente dovrebbe però sapere quanto sia preziosa l’opera di ammortizzatori sociali che svolgono servizi come quelli richiamati, e tanti altri ancora. Forse avrebbe maggior contezza di cosa significherebbe esserne privi. Di quante tensioni e conflitti in più ci sarebbero nei nostri contesti cittadini. Forse, certi sputasentenze finirebbero di sparare cazzate circa l’utilità della loro esistenza. Forse…