Regolarmente capita di imbattersi, sui social network, in inviti a condividere post che incitano a farsi difensori e garanti dell’esposizione del crocifisso nelle scuole quasi ci trovassimo sotto permanente attacco da parte – non si sa bene chi – occupato a toglierlo.
Sinceramente è una campagna che non mi appassiona. Però mi offre il pretesto per qualche riflessione. A sant’Ignazio di Antiochia è attribuita la frase eseguente: «È meglio essere cristiano senza dirlo piuttosto che proclamarlo senza esserlo». Sono in molti invece, così mi pare, che non perdono occasione per proclamarsi cristiani senza esserlo davvero. Tra questi annovero anche una buona parte (certo non tutti) di quanti amano proclamarsi difensori dei simboli cristiani, quasi che il simbolo (il segno) avesse maggior valore di ciò a cui rimanda: amare concretamente tutti gli uomini come fratelli. Infatti non brillano su quest’altro versante, in genere. È vero quanto annotava Martin Lutherr King: Per tanti cristiani il cristianesimo è un attività domenicale senza rapporto con il lunedì. Probabilmente, almeno in parte, credo risieda anche in questo, l’insofferenza di non poche persone, per la presenza del crocifisso nei luoghi pubblici. Non credo sia imputabile ad avversione a Gesù di Nazareth, il crocifisso, quanto piuttosto all’uso strumentale e di potere della religione. Se qualche persona si dice disturbata dalla presenza del crocifisso, anziché irritarmi, mi interroga. Può anche essere sia fuori luogo, in quel contesto. Penso, ad esempio, a luoghi in cui si prendono decisioni pubbliche che contraddicono il messaggio cristiano, oppure ai tribunali, o altri luoghi nei quali sarebbe meglio non fosse presente. Nei tribunali, quel Cristo in croce, davvero sarà a suo agio, sulla parete che sta dietro i giudici, lui che non mai ha giudicato nessuno e perfino al malfattore crocifisso con lui ha offerto perdono e comprensione?
È di questi giorni la notizia di stampa di una proposta di legge da parte di un gruppo di parlamentari leghisti, volta a rendere obbligatorio l’affissione del crocifisso, non solo nelle aule scolastiche, ma pure “negli stabilimenti di detenzione e pena, negli uffici giudiziari e nei reparti delle aziende sanitarie e ospedaliere, nelle stazioni e nelle autostazioni, nei porti e negli aeroporti, nelle sedi diplomatiche e consolari”.
Sembra di sentire risuonare il grido beffardo di quanti, a Gesù in croce, dicevano: se davvero sei il Messia slava te stesso, scendi dalla croce e ti crederemo. Anche oggi Cristo rimane silenzioso. Dinanzi a lui siamo noi che dobbiamo interrogarci e rispondere, non per slogan, ma con scelte di vita coerenti, se davvero crediamo che lui sia la rivelazione di Dio, oppure se è lui a doversi conformare all’Idea di Dio che ci siamo fatti noi. «Un Dio crocifisso – scrive Silvano Fausti ne L’Idiozia – non corrisponde a nessuna concezione religiosa o atea. È una rappresentazione “oscena”, fuori dalla scena del nostro immaginario: è “la distanza infinita che Dio ha posto tra sé e l’idolo”».
E idolo, se usato come una clava, oppure come ornamento prezioso che oscilla sul petto nudo di certe star, indeciso su quale “monte” fermarsi, può diventare anche il crocifisso. Gesù, il Cristo, non ci chiede innanzitutto di onorarlo nelle immagini, neppure nelle reliquie, ma negli uomini tutti, a partire dia più fragili, i più poveri, i più peccatori. Insomma in quanti la nostra civiltà, che ama tanto definirsi cristiana, tante volte non fa, o fa esattamente l’opposto, ma con il nome di Dio sempre sulle labbra.
«Il limite tra il prima di Cristo e il dopo Cristo – ha detto papa Benedetto XVI – non è un confine tracciato dalla storia o sulla carta geografica, ma è un segno interiore che attraversa il nostro cuore. Finché viviamo nell’egoismo, siamo ancora oggi coloro che vivono prima di Cristo».