Più passa il tempo e cerco di approfondire l’argomento e più sono tentato dall’astensione. Non l’ho mai fatto da quando godo del diritto di voto, ma mai come questa volta, dinanzi alla chiamata a responsabilità che il referendum sulla riforma costituzionale racchiude, l’indecisione mi si presenta sovrana.
Ho amici tra i sostenitori del sì e tra quelli del no e in un campo come nell’altro militano persone per le quali nutro stima e considerazione profonde. Non sentendomi per nulla tifoso quando si tratta di operare delle scelte, preferendo di gran lunga la riflessione pacata al comizio scomposto, sono decisamente contrario e non sopporto quanti, da una parte e dall’altra ne stanno facendo uno scontro barricadiero senza esclusione di colpi. So bene che sono in campo interessi corposi e di parte. So bene che tra i due schieramenti contrapposti ci sono forze e persone con le quali non ho proprio nulla da spartire, facendo parte di tutt’altri mondi. So anche che la politica è per definizione l’arte del compromesso e che non esiste la soluzione ideale. Detto questo ecco quali sono le mie principali riserve al momento. Se la carta costituzionale è la principale fonte del diritto, quella dalla quale gerarchicamente dipendono tutte le altre, mi pare abbastanza evidente che modificandola si dovrebbe puntare al massimo della condivisione possibile. E questo non mi pare sia avvenuto. È vero che se a parole, più o meno tutti, si dicono del parere che in una certa misura la nostra attuale Costituzione debba essere modificata per essere all’altezza dei tempi, è altrettanto vero che non sono pochi che poi nel concreto mirano e hanno mirato a contrastare e impedire ogni tipo di riforma. Per interessi tante volte meschini. Il quadro che più vistosamente emerge da questo contenzioso è quello di un Paese frantumato, spezzettato in tante piccole patrie. Ciascuno grida o pare saper gridare le proprie ragioni senza la capacità di trovare ragioni più alte. Nemmeno la Costituzione vigente è stata approvata a suo tempo all’unanimità: i favorevoli furono 458 e i contrari 62. Ad approvarla fu un assemblea costituente composta da 556 membri eletti con voto proporzionale in 31 collegi elettorali. Come non notare quanto sia stridente il quadro odierno da quello di allora? Questi i dati di oggi: 11 gennaio 2016: la Camera approva il testo deliberato del Senato con 367 sì, 194 no e 5 astenuti. 20 gennaio 2016: il Senato della Repubblica approva il testo in seconda deliberazione con 180 sì, 112 no e 1 astenuto. 12 aprile 2016: anche la Camera dei deputati dà l'approvazione definitiva al ddl di revisione costituzionale con 361 sì, 7 no e 2 astenuti, mentre le opposizioni lasciano nuovamente l'aula in segno di protesta. Che al referendum vinca il fronte del sì o il fronte del no, temo che il risultato di fondo non cambi. Ci restituirà un Paese spaccato a metà con la metà che uscita perdente si proporrà, appena ne avrà l’occasione, di rifarsi apportando nuove modifiche alla carta che, teoricamente, dovrebbe rappresentare il patto fondativo tra tutti i cittadini italiani. Ne vale la pena?