Ho provato a osservare i volti e i sorrisi di vittime e carnefici del ristorante Holey Artisan Bakery, astraendoli dal contesto della fotografia che li ritraeva, per tentare di capire cosa li differenziasse.
È davvero difficile se non impossibile trovare delle differenze significative tra gli uni e gli altri, a parte la singolarità di ciascuna persona. Eppure esiste un abisso che separa gli uni dagli altri, facendone personalità diametralmente diverse; opposte. Mi sono chiesto come si possa conciliare un sorriso, all’apparenza schietto e cordiale, con la scelta di infliggere la morte ad altri e a se stessi. Dicono che il riso sia la distanza più corta tra due persone, e anche che sia il sole che scaccia l’inverno dal volto umano. Evidentemente non è sempre così e come ogni altra cosa umana può nascondere la finzione, la doppiezza dell’animo umano. Se neanche il sorriso può più essere lo specchio della nostra interiorità, allora c’è proprio di che preoccuparsi, interrogarci e chiederci cosa ci stia succedendo. Forse è a partire da questa domanda che possiamo provare a comprendere (che non significa nel modo più assoluto assolvere né tanto meno giustificare) cosa può spingere giovani, per altro di famiglie benestanti, a quanto pare, a scegliere percorsi di violenza e di morte. Se la risposta al terrorismo si limitasse alla sola repressione, benché necessaria e doverosa, senza uno sforzo in più di approfondimento e analisi, in grado di aggredire alla radice tale fenomeno, credo che ne usciremmo tutti perdenti. Una sola, piccola e parzialissima esperienza, anche se non fa testo, può far comprendere meglio il mio pensiero. Frequentando il carcere di Trento ho avuto l’avventura di conoscere un ragazzo tunisino (la sua storia è apparsa anche sulla stampa locale) che quando era ancora al suo Paese, in carcere, si era radicalizzato, convincendosi che il suo futuro fosse quello del combattente per la jihad. Aveva trovato in carcere persone disposte ad ascoltarlo, a offrirgli sostegno e amicizia, con le quali sfogare rabbia e frustrazione, e soprattutto “nuove” ragioni ideali per le quali spendersi, per quanto assurde e farneticanti. A salvarlo dal precipizio, dalla strada senza ritorno, una volta uscito dal carcere, fu uno zio che era Imam, il quale, accortosi del suo cambiamento lo avvicinò con discrezione. Riuscì ad aprirgli gli occhi mostrandogli tutta la falsità di quanto appreso in carcere circa la religione. Per non soccombere per mano dei vecchi sodali, dovette fuggire all’estero, cercando altrove una nuova vita. Ecco io credo che la cultura e l’istruzione siano fondamentali per vincere contro ogni oscurantismo, laico o religioso che sia. Mi rifiuto di credere che i giovani, anche i giovani islamici, siano attratti principalmente da progetti di morte. Se questo avviene, forse è anche perché quelli di vita scarseggiano o sono poco attraenti. Il modo migliore, credo, di onorare quanti sono morti, in modo atroce, sia spendersi perché non accada più, non accada ad altri, imboccando strade capaci di affratellare popoli e individui, in un abbraccio fatto di giustizia, uguaglianza e solidarietà.