È bastato che il nuovo Vescovo di Trento toccasse l’argomento migranti, nei suoi colloqui con la stampa locale, ribadendo un concetto che dovrebbe essere scontato:
ovvero che la chiusura verso i migranti e i profughi è inconciliabile con il Vangelo, per suscitare reazioni scomposte tra i cristiani da sacrestia e gli atei devoti nostrani. E temo che non riguardi soltanto gli habitué della tastiera, coloro cioè che amano compulsivamente postare commenti ai vari articoli di stampa, magari in un copia e incolla ripetitivo, ma comprenda una fetta non indifferente di popolazione. Come già per papa Francesco (ci è voluto un po’ di tempo a qualcuno per comprendere che non è un bonaccione) anche al novello Vescovo di Trento è bastato semplicemente rispolverare il Vangelo per iniziare a scontentare un bel po’ di gente, segno che il messaggio di Gesù di Nazareth, se ben compreso e spiegato, disturba ancora non poco. Certo, quanti mostrano la loro animosità nei confronti del Vescovo, per quanto dichiarato alla stampa, e che magari si professano pure credenti, con ogni probabilità difettano di una reale conoscenza di ciò che è stato e ha fatto il Gesù storico per finire presto ammazzato. La cosa è certamente imputabile a una certa teologia, ancora diffusa, dell’espiazione vicaria (un Dio offeso che ha bisogno del sacrificio cruento del Figlio per riconciliarsi con gli uomini), per cui essere credenti consiste nel mettersi a posto con Dio, attraverso preghiere, suppliche e liturgie, ma senza alcun riferimento alla vita concreta e alla sofferenza delle persone. E anche il voler bene al prossimo, che pure è predicato, per molti non va al di là della cerchia ristretta del parentado, degli amici, dei compaesani e, a essere larghi, dei connazionali. Insomma non pare sia cambiato poi molto, a distanza di duemila anni, da come intendevano il loro prossimo, gli ebrei al tempo di Gesù. Dice bene don Lauro quando afferma che “Sostanzialmente per la gente Dio è un concetto e non ha una ricaduta esistenziale”. Il cambio di passo che intende imprimere con il suo episcopato, “l’intento di favorire una Chiesa che narra Dio a partire da Gesù Cristo, che vive l’umano evangelico”, è un programma che somiglia tanto all’affermazione di Gesù nella sinagoga di Nazareth, quando, dopo aver letto un passo di Isaia, ma tralasciando il versetto che annunciava “la vendetta del nostro Dio”, ottenne la reazione sdegnata dei presenti perché si manifestava come un Messia diverso da quello atteso e come un Gesù non somigliante al parentado, che conoscevano bene. Non avrà gli appalusi come il giorno della sua ordinazione, don Lauro, se come è facile immaginare vorrà, sulla scia di papa Francesco, mostrare, come ha affermato “che sia arrivato il momento in cui su questi terreni (temi ambientali e sociali) dobbiamo andare avanti con chiarezza senza guardare né a destra né a sinistra”, e se vorrà impegnarsi perché quella che ancora oggi tante volte è profezia individuale di determinate persone, preti e laici, diventi, come da lui auspicato, collettiva. A don Lauro il mio auguro sincero, l’affetto e il sostegno convinto.