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01 ott 2015
AI CROCICCHI DELLA VITA
Scritto da Piergiorgio |
Letto 3861 volte | Pubblicato in Il mio blog
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Comunque la pensiate, se Dio in queste prime fredde notti autunnali, cercava un posto nel quale sostare, dove ritrovare un po’ di quel calore provato nela notte di Betlemme, beh, io credo si sia fermato all’ex Sloi, in quella misera baracca andata a fuoco e costata la vita al giovane Marius Barcea.

Ventitré anni compiuti il 20 luglio scorso, non si può dire che abbia avuto in sorte dalla vita una grande fortuna. Chi lo ha conosciuto lo ricorda come un ragazzo sorridente e gentile. In genere la povertà non fa belle le persone. Torchiandole, tante volte le rende aspre come gli acini non ancora giunti a maturazione. Altre volte, al contrario, pare volerle fissare in quei tratti cordiali, affettuosi propri dei bambini. Forse è l’unico modo rimasto loro per difendersi dalla nostra cattiveria, dal nostro disinteresse, dal nostro cinismo. È vero, non è sempre facile immaginare soluzioni adeguate per sovvenire tanti bisogni. Richiede l’umiltà di ascoltare, innanzitutto, ma poi anche la volontà fattiva, tenace e creativa, capace di ideare percorsi reali d’inclusione. È quanto ci manca. Ci manca soprattutto la volontà/capacità di mettere in discussione il nostro modello di vita che, ci piaccia o no, si regge proprio sulla mixofobia, come direbbe Bauman. E i poveri, la loro esistenza è considerata dai più, un semplice effetto collaterale di un ordine – il nostro ordine – ritenuto comunque giusto e l’unico cui aggrapparsi. Neanche da morte, certe persone inducono pietà, compianto, a giudicare da taluni commenti che mi è capitato di leggere su questa tragica morte avvenuta in una delle nostre periferie. Periferie esistenziali, prima ancora che geografiche, perché si ha un bel dire che i servizi sono informati, che si tratta di realtà complicate, difficili da gestire. Rimane il fatto che al netto dall’interesse occasionale, indotto dalle emergenze saltuarie, si fa ben poco, non dico per risolvere alla radice il problema di queste persone, ma più semplicemente (semplicemente?) per ascriverle a pieno titolo tra noi cittadini. Nell’immaginario collettivo le percepiamo come un corpo estraneo: come nemici dai quali difenderci. È solo ribaltando questo nostro modello concettuale che sperabilmente si potrà venirne a capo, trovare soluzioni e percorsi d’inclusione reale. Diversamente continueremo a stare noi di qua e loro di là dalla stagionata, con Dio – di questo sono certo – disposto sempre a rischiare di fare una brutta fine, perendo con le vittime poste ai crocicchi della vita, come accaduto la notte scorsa.

 

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