No, non è la cifra vinta al superenalotto da qualche fortunato, ragione per la quale, con tutta probabilità, ne parlerebbero a lungo giornali e tv. È il numero di profughi nel mondo; pari alla popolazione dell’Italia.
Si tratta di un’enormità di persone che non è neppure possibile raffigurarsi. Molti di loro hanno trovato rifugio, si fa per dire, all’interno dei confini nazionali, mentre moltissimi altri hanno dovuto proprio fuggire in altri paesi. Tutti comunque hanno dovuto lasciare le proprie case, i luoghi delle proprie radici, quanto avevano di più caro e inventarsi una nuova esistenza, senza più passato e senza futuro certo o anche minimamente prevedibile. Per noi che ce ne stiamo comodamente seduti in casa nostra, certo con gli inevitabili problemi e difficoltà che la vita riserva a ciascuno, è difficile immaginare, anche soltanto lontanamente, la tragedia che segna così tante persone. È altrettanto vero che, presi singolarmente, quanto possiamo fare per lenire tanto dolore è davvero poco. Quello che sbalordisce è sentire blaterare attorno a tale argomento (perché toccati in minima parte dall’arrivo da noi di qualche centinaio di rifugiati) persone che mostrano di conoscere poco a nulla di tale questione e lo fanno in modo dogmatico, ricorrendo ai soliti luoghi comuni che nascondono il timore di doversi misurare con una realtà che, comunque la pensiamo, ci obbliga a interrogarci, uscendo dagli schemi abituali. La storia e la cronaca dimostrano che non esistono barriere, muri, confini invalicabili per quanti fuggono da situazioni disperate. Gli ostacoli frapposti hanno al massimo il potere di rallentare, creando altre sofferenze e morte, il cammino di quanti sono alla ricerca di una possibilità di vita, degna di questo nome. Questo per una semplicissima ragione: le persone, a differenza delle cose, hanno un “difetto” irreparabile: pensano. Conviene pertanto che, messa da parte ogni paura irrazionale, impariamo la fatica del dialogo, unico strumento in grado di metterci in relazione gli uni gli altri e, contemporaneamente, renderci disponibili, ciascuno per la propria parte, ad operare per pretendere che siano sanate le tante situazioni di guerra, ingiustizia, sfruttamento, che stanno all’origine dei drammi che causano lo sradicamento dalla propria terra di milioni di persone