Bisogna proprio non avere occhi, né cuore, per non lasciarsi interrogare dal dolore di tanti fratelli abbandonati a se stessi, dopo viaggi massacranti e pericolosi, e ora sperduti in quelle periferie esistenziali che sono le stazioni, alla ricerca di una via verso la meta così a lungo agognata.
È vero, la massa di persone che sbarcano sulle nostre coste pone problemi non facili da affrontare. Richiede lo sforzo di tutti, ad ogni livello. Quanti preferiscono voltarsi dall’altra parte, o peggio, come sta accadendo, ricorrere a truci discorsi, solleticando gli istinti peggiori, le paure, sentimenti di odio, di rifiuto, e fingendo di credere alle draconiane misure che auspicano, dimenticano la cosa più semplice e banale che esista. Se non sono al loro posto è solo per mera fortuna, perché alla roulotte della vita, sono nati qui e non altrove. Costoro non sanno guardare negli occhi le persone che invocano la cosa più elementare che ci accomuna: poter vivere una vita normale, che sia tale, senza doverla giocare ogni giorno alla sorte. Costoro, qualcuno di loro lo ha anche detto, con tono di sprezzo e sufficienza, che non hanno bisogno di parlare con i profughi, con i migranti perché gli basta sapere quanto sentono alla TV. Ma c’è davvero una grande differenza conoscere per interposta persona, da un servizio, da un articolo di giornale, dall’apprendere direttamente dalla voce di chi vive determinate esperienze. La voce, il corpo, gli occhi di chi racconta e testimonia vicissitudini traumatiche dolorose, hanno un sapore diverso da quello della carta, magari patinata, o di un servizio, per quanto ben fatto, servito con la pubblicità. E infatti le persone, che vinti i timori, li incontrano, li vanno a trovare dove stanno, sono mosse a pietà e pur nella mancanza di mezzi e potere, riescono sempre a inventare un modo d’intervenire per portare sollievo, magari temporaneo, che però ha il sapore del prendersi cura, qualità di chiunque sia umano. E è la cosa che manca alle istituzioni, molto spesso: locali, nazionali e europee. Ma è terribile che manchi in chi le istituzioni rappresenta. E ancor peggio è che ne menino vanto, anziché esser di esempio e in prima fila nel cercare e proporre soluzioni nel segno del bene comune che significa non escludere nessuno, se davvero vogliamo dirci umani. La storia che non ci sono risorse, è una favola buona per chi ci vuole credere. Basti un dato: la spesa militare italiana del 2014 è stata pari a 80 miliardi di euro al giorno (dati SIPRI). Tutto dipende su che cosa si vuole investire e a quali cose si vuole dare priorità. Dipende anche da noi.