A cent’anni dall’ingresso dell’Italia in quella che a ragione fu definita “inutile strage”, non sono pochi quanti ci vorrebbero schierati sugli attenti, al suono militare di una banda, per commemorare l’avvenimento.
Costoro amano il verbo commemorare nel significato di celebrare, parlandone in forma solenne. Personalmente preferisco di gran lunga ricordare. È un termine che contiene la parola “cor”, cuore, per cui significa riportare nel cuore. Nel cuore possiamo riportare ciò che c’è già stato. Ricordare rimanda anche a “re-accordare”, che possiamo spiegare come un far vibrare all’unisono le corde del cuore. Purtroppo non è così. A distanza di tanti anni, molte ferite di allora non sono ancora guarite. Questo significa che non abbiamo saputo elaborare la tragedia che si è abbattuta sui nostri nonni. “I ricordi – ha scritto Mario Rigoni Stern – sono come il vino che decanta dentro la bottiglia: rimangono limpidi e il torbido resta sul fondo. Non bisogna agitarla, la bottiglia”. Evidentemente ci sono persone che hanno interesse ad agitarla quella bottiglia, così che il ricordare quella tragedia, inchinandosi rispettosamente e con pietà davanti a tutti i morti, di ogni fronte, anziché momento di presa di coscienza della inutilità e assurdità della guerra, di ogni guerra, diventa momento per resuscitare antiche e mai sopite nostalgie patriottarde. “Il ricordo delle cose passate – ha scritto Marcel Proust– non è necessariamente il ricordo di come siano state veramente”. Quanti cedono alla retorica decantando le imprese eroiche di questo o quell’altro schieramento, sorvolano fin troppo facilmente sulle sofferenze atroci patite da milioni di giovani costretti a sbudellarsi senza ragione in nome di un malinteso amore di patria. Dovremmo riflettere di più su cosa sarebbe oggi l’Itala, cosa sarebbe l’Europa, se le ingenti risorse dilapidate per ammazzarci tra noi, fossero state impiegate per promuovere il bene dei suoi abitanti, appianare i conflitti esistenti, sanare le ingiustizie presenti. Oltre a quella prima tragica guerra, ci saremmo risparmiati anche la seconda, che della prima è stata figlia, e con ogni probabilità anche i regimi tirannici del XIX secolo. Per non parlare di quanto avrebbero potuto dare alla società i tanti, troppi giovani ammazzati sui vari fronti nel pieno della loro giovinezza, strappata loro da calcoli meschini. Che il ricordo della loro morte ci educhi a perseguire la Pace con tutte le nostre forze. Solo a questo dovrebbe servire il ricordare. Mio nonno G. Battista, che fu tra quanti ritornarono e che assieme a migliaia di altri trentini, combatté dalla parte “sbagliata”, da quella dei così detti perdenti, non l’ho mai sentito celebrare la guerra.