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10 apr 2015
CARO CANDIDATO SINDACO,
Scritto da Piergiorgio |
Letto 3932 volte | Pubblicato in Il mio blog
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cos’è che ti muove davvero nel proporti quale leader e amministratore della tua comunità? Quale lo sguardo d’insieme che ti fa ritenere di essere all’altezza del compito che ti attende, qualora riesca nella tua impresa?

Sarebbe troppo comodo, facile, riduttivo rispondere rimandando al programma di cui ti fai scudo. Neppure basta ricordare quanto, se hai già ricoperto il ruolo di sindaco, hai operato in passato. Avverto già una certa irritazione e immagino che, trattenendola a fatica, possa ricorrere, com’è d’uso, a quella stantia immagine che prolifera sempre in queste occasioni: lo faccio per mettermi al servizio della mia gente. Già quel “mia” mi suona male perché lascia intuire, oltre un possesso che non si può dare mai, anche una possibile esclusione. Esclusione di quanti, in vari modi, a vario titolo, potrebbero non rientrare nei tuoi pensieri nell’interesse della tua parte. Non mi riferisco a quanti, legittimamente tifano per il tuo, i tuoi avversari. Piuttosto ai tanti che nelle casistiche dei tuoi spin doctor, neanche figurano. Sono più di quanto immagini e sono tra quanti, solitamente, non sono interpellati; allettati, sedotti, lusingati. Perché non contano. Non votano. Non pesano sulla bilancia del dare e avere. Prima mi è sfuggito un verbo che non dovrebbe neanche figurare in una competizione elettorale, ma che è di uso comune, comunque descrive bene quale sia in fondo l’animus che muove molti: il tifo, appunto. Perché è invalsa, e non da oggi, l’idea che ciò che conta sia vincere, piuttosto che convincere. E in nome della vittoria, possibilmente certa, eppure possibilmente grande, capace di segnare una differenza netta con il perdente, si è disposti a tutto. Principalmente a sottacere, minimizzare o anche offuscare, quanto andrebbe detto per amore di verità e di giustizia. Insomma ciò che magari interpellandoti privatamente saresti disponibile a riconoscere come necessario fare (oppure no, a seconda del tuo pensiero, del tuo orientamento, della tua visione del mondo), ma che rimuovi dalla discussione, oppure annacquai. A un primo sguardo – lo confesso, frettoloso e forse superficiale – non mi pare di riscontrare tutte queste grandi differenze tra un programma e l’altro, ma soprattutto mi pari manchi in generale, una capacità di visione alta. Mi pare, forse sbaglierò, che tutti siate appiattiti sull’esistente e su quanto, a risorse ridotte si può fare, senza una vera proposta che sappia essere realmente innovativa, capace di generare speranza nel futuro. So bene che il compito non è per niente facile e che l’ambito del fattibile, inteso come possibilità di realizzazioni, si è drasticamente ridotto, a causa delle minori risorse a disposizioni. Il punto è proprio questo: credere che tutto, nel governo di una comunità, si possa ridurre a ciò che è contemplato nel paniere che concorre a definire il PIL. Ci sono altri parametri che potrebbero, e a mio parere dovrebbero, entrare nel tuo orizzonte di pensiero, se vuoi essere innovativo: il grado di felicità delle persone che compongono la tua comunità. Ho un solo consiglio da offrirti a questo riguardo. Prova ad indossare le scarpe di quanti fanno più fatica a vivere. Chiedi loro parere sulle priorità da perseguire. Fatti consigliare da quanti in genere non sono mai interpellati e abbi il coraggio di dire cose non scontate anche se non incontrano sempre e subito l’applauso della gente, perché essere un leader, non significa mica accarezzare dalla parte del pelo gli istinti più primordiali, quelli dettati dall’egoismo. Anzi, significa principalmente avere uno sguardo più limpido e più penetrante di altri; che sa scrutare oltre l’orizzonte più stretto e aprirsi al nuovo intravvisto, sapendo osare e rischiare anche l’ostracismo, se l’eticità di una scelta lo impone. Soprattutto lasciati interrogare dalla sofferenza delle persone. È solo nella risposta sanante di questa che potrai trovare le soluzioni migliori da offrire e l’indicazione della strada da fare. Buon lavoro.

 

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