È bello, necessario, indispensabile, talvolta, concedersi una pausa di silenzio e imparare ad abitarlo. Non sono un cultore di disciplini orientali, che pure apprezzo, né mi esercito in qualche particolare altra disciplina dello stesso segno.
Mi accontento di fare spazio dentro di me a ciò che non è usuale, liberandomi, senza defatiganti esercizi, dalla immondizia che mi occupa il cuore e la mente. Mi basta davvero poco: l’ascolto delle piante, dei fiori e dell’erba ora che è primavera o il cinguettio degli uccelli la mattina quando principia il giorno. La sera uno sguardo ammirato al cielo che si veste di stelle su in alto. Mentre passeggio per le vie della città, mi piace soffermare lo sguardo sui volti di chi incontro, inebriandomi di ciò che leggo nei loro occhi, nelle fattezze uniche e diverse dei visi. Mi dà gioia il sorriso dei bambini, le loro smorfie, i loro giochi rumorosi e innocenti. Osservo con curiosità il volto dei vecchi, cogliendo qualche brandello dei loro discorsi, leggendo nelle pieghe di rughe che ne solcano i volti, le tante storie mai raccontate che hanno riempito e dato senso ai loro giorni. Amo, con discrezione, osservare gli amanti mentre passeggiano tenendosi per mano o stretti l’uno all’altro e immagino per loro giorni ricchi di grazia, bellezza, armonia, come questo. Anche i volti dei giovani mi incuriosiscono, mi affascinano, quando esprimono la gioia di vivere, i sogni, le attese e le loro speranze. Nel silenzio che mi avvolge la sera, o anche in altri momenti, mi lascio cullare come fossi sulle onde, immaginando che ad avvolgermi siano le mani di Dio, a cui non chiedo niente, dal quale non mi attendo niente perché so che lui mi ama comunque. E in quel silenzio mai privo di vita, mai vuoto, arido, infecondo, mi sento abbracciato dal mondo intero, mentre lo posso abbracciare pure io. Il mondo intero e pure il mio Dio.