È sempre accaduto ovunque, in ogni tempo e ad ogni latitudine, dove ha regnato la violenza, il terrore, che gli artefici della violenza e del terrore siano ricorsi, per giustificare ai loro stessi occhi quanto chiaramente non era giustificabile, alla disumanizzazione delle loro vittime.
È l’unica cosa che rimane loro per poter affermare quanto non sarebbero in grado di poter asserire, se solo potessero, volessero, anche soltanto per un’istante, considerare che le vittime sono esseri umani. Ecco che allora ricorrono alla loro disumanizzazione: non più uomini e donne, vecchi o bambini, ma simboli, numeri e cose di cui poter disporre a piacimento. Non è forse questo che intende affermare l’account Twitter legato allo Stato islamico che pubblica la foto di una delle vittime italiane del museo Bardo di Tunisi definendola «crociato schiacciato dai leoni del monoteismo»? Per quanti ripongono il loro credo nella violenza, non ci possono essere alternative. Se non privano, di fatto e a parole, ogni potenziale vittima dei loro folli progetti e propositi, delle qualità proprie di ogni persona, non potrebbero perseguirli senza interrogarsi ed incorrere in evidente contraddizione. Il primo atto di ogni disumanizzazione consiste nel privare le persone del proprio nome, della propria identità, della propria storia, del proprio sentire, riducendole a numeri, appartenenze etniche, sociali o religiose, quasi fossero oggetti o bestiame di cui poter disporre come mercanti in fiera. Merce alla quale poter attribuire un prezzo, un valore e di cui disporre secondo convenienza, interesse o piacere. I carnefici difficilmente sono in grado di guardare le proprie vittime negli occhi. Se lo facessero, dovendosi specchiare in quegli stessi loro occhi, finirebbero inevitabilmente per vedere se stessi e non sarebbero in grado di uccidere, far loro del male. Per tacitare le loro coscienze, cosa di cui non possono disporre a loro piacere, hanno bisogno di stordirsi con credenze farneticanti, incitamenti deliranti, non disdegnando di ricorrere a droghe e quant’altro è possibile reperire per obnubilare la mente. Naturalmente alla follia umana non c’è limite e la storia di tutte le dittature, di tutti i regimi autoritari succedutisi nel mondo è lì a dimostrarlo, così come è lì a dimostrare che ogni sistema di tal fatta ha sempre avuto bisogno e si è potuto reggere sul sostegno di tanti cavalier serventi. In genere una massa di individui dall’animo molto piccino, facilmente manovrabili, influenzabili, remissivi e obbedienti. Degli yes men, incapaci di usare singolarmente la testa. Non dobbiamo pensare per altro, che tutto questo riguardi soltanto i tagliatori di teste. Riguarda anche tutti coloro che solitamente ascoltano usando la pancia e rispondono sulla base degli stimoli che questo unico organo, in loro, è in grado di percepire su ogni argomento.
D’altronde sarà bene tenere a mente che nessuno può ritenersi certo di non potersi trasformare – per questo ci vuole vigilanza e senso critico – in un novello Dr Jekyll e Mr Hyde come illustra bene il film The Experiment, che mette in scena l’esperimento compiuto nel 1971 dallo psicologo Philip Zimbardo. «Dopo esser stati selezionati per partecipare a un progetto di ricerca della durata di due settimane, un gruppo di uomini accetta di interpretare il ruolo di detenuti e guardie in una simulazione della vita all’interno di una prigione statale. Ma con il passare dei giorni i ventiquattro volontari si identificano sempre più nei loro ruoli: il potere li corrompe, la paura cresce e l’esperimento degenera in un terrificante incubo».
In altre parole non basta pensarsi diversi da quanti con il loro agire ci appaiono “mostri”; bisogna volere essere diversi e agire di conseguenza, imparando nel quotidiano ad agire in modo umano nei confronti di tutti.