È chiamata semplicemente la Signora, il premio Nobel Aung San Suu Kyi, dalla sua gente, e immagino sia un titolo usato per sottolineare la sua nobiltà d’animo, il suo impegno indefesso a difesa dei diritti umani così vilmente calpestati nel suo Paese. Una piccola donna dall’apparenza fragile e minuta, ma dall’animo forte di una robustezza non comune.
Le angherie subite, le mille prove alle quali è stata sottoposta in tanti anni di dittatura, tra le peggiori al mondo, non hanno avuto la capacità di piegarla. È bello e consolante apprendere oggi che è stata eletta in Parlamento in un voto suppletivo e, a quanto pare, con una valanga di consensi. È presto per dire cosa succederà d’ora in avanti, ma certo quanto avvenuto segna un punto a suo favore e a favore delle attese della sua gente, per la quale si è spesa in tutti questi anni. È un giorno da festeggiare doppiamente, perché la sua vittoria, frutto di impegno instancabile e costante, nel segno della non violenza, è il frutto più evidente della forza intrinseca della verità che fonda la sua ragione d’essere sulla convinzione, per usare le sue parole, che “l'autentica rivoluzione è quella dello spirito, nata dalla convinzione intellettuale della necessità di cambiamento degli atteggiamenti mentali e dei valori che modellano il corso dello sviluppo di una nazione. Una rivoluzione finalizzata semplicemente a trasformare le politiche e le istituzioni ufficiali per migliorare le condizioni materiali ha poche probabilità di successo”. È quello di cui abbiamo bisogno con ogni probabilità anche noi in questo momento. Non è forse di un cambio di mentalità che abbiamo bisogno? Una rifondazione dei valori sui quali ricostruire la nostra società, tornando allo spirito e alla lettera della nostra carta Costituzionale, anziché rincorrere modelli, per altro già sperimentati, e che stanno alla base dello sfacelo economico e sociale nel quale ci dibattiamo? Oppure abbiamo bisogno anche noi di provare il sapore amaro delle catene, per imparare ad apprezzare la libertà perduta; essere privati della dignità, calpestati nei nostri diritti, per imparare a stimare e tenere nel giusto conto questi preziosi titoli di umanità? Il bene, comunque declinato, inteso quale orizzonte di senso, opportunità di vita autentica, piena, per tutti e per ciascuno, ha una forza, una vitalità interiore incomprimibile che, per quanto si tenti di schiacciarlo, imprigionarlo, zittirlo, non è possibile ridurlo all’impotenza. Rispunterà, rifiorirà sempre vincitore. Diversamente dal male, anche questo, comunque declinato, che è semplicemente assenza, è vuoto, è il nulla; è morte. Questo è anche il senso più profondo della Pasqua per chi è credente. La risurrezione non è forse il trionfo della vita sulla morte, della speranza che non si arrende di fronte alla sconfitta? E non nel senso di una rivincita che schiaccia e umilia, altrimenti sarebbe una ripicca, ma di un’ulteriore offerta di vita che accoglie in sé anche ciò che sembrava perduto, espunto, definitivamente perduto. Con questo spirito è possibile affrontare ogni difficoltà, per quanto grande, penosa, lacerante sia. In questa luce è possibile non soccombere sotto il peso di prove anche dolorose e terribili, purché a sostenerci ci sia la convinzione, la fede, che oltre il buio che avvolge il momento presente, c’è ancora il sole, la luce, la vita. Esempi come quelli di San Suu Kyi e di tantissime altre persone note e meno note, che ovunque nel mondo, in contesti molto diversi tra loro, non smettono di credere e lottare per quanto sentono giusto e doveroso, rappresentano oltre che una speranza viva e autentica per tutti, il respiro più vero del mondo; il sale che dà sapore all’esistenza e raggi di luce del futuro. Buona Pasqua a tutti!