C’ero anch’io quel venerdì 31 maggio a Brescia per onorare le vittime della barbara strage avvenuta il martedì 28. Eravamo migliaia e migliaia a testimoniare, in un silenzio composto, carico di rabbia e di dolore, la volontà di opporci a quanti intendevano sottrarci il diritto di partecipare alla vita democratica e sociale del nostro Paese. Ed eravamo animati da un grande desiderio di verità e di giustizia, pur avendo ben chiaro in mente chi fossero i responsabili ultimi della strategia stragista, al di là delle responsabilità individuali ancora da accertare in quel preciso istante.
A distanza di tanti anni, ancora non si è saputo scrivere una parola di verità, individuare le responsabilità, punire i colpevoli di quello e di altri misfatti. La palude omertosa che ha sempre circondato i tragici fatti che hanno insanguinato la nostra storia in quegli anni bui, pare essersi fatta nel tempo ancora più impermeabile, e questo non può che tornare a discapito di tutti noi, a cominciare dalle vittime e dai parenti, in primo luogo. Un Paese che non sa guardarsi dentro, individuando con chiarezza le complicità, i silenzi, i depistaggi, le responsabilità prime e ultime di quanto accaduto, non può dirsi civile e ancor meno democratico. È un Paese che costruisce il suo futuro sul nulla, perennemente in bilico tra la possibilità di progredire e quella di cadere nel baratro di una spirale autoritaria. Le vittime di Brescia, e tra queste dobbiamo metterci anche la democrazia, esigono che sia fatta giustizia, anche se quella giudiziaria non ha saputo, in tutto questo tempo, scrivere una parola “chiara” e definita. Il carico di male che da quella e altre ferite è venuto a pesare sul nostro Paese, non si prescrive; chiede che non ci si arrenda fino a quando non sarà scritta la VERITÀ in grado di restituire la dignità che a quei caduti è stata tolta in modo feroce e proditorio. “Chi dimentica la storia è destinato a riviverla”, ammonisce una scritta all’ingresso di Auschwitz, ecco perché non ci possiamo permettere, non possiamo permettere, che tutto cada nell’oblio, come troppe volte è accaduto. Allora deve essere impegno di tutti quelli che hanno a cuore le conquiste realizzate con la nascita dello stato democratico, dopo la seconda guerra mondiale, esigere che non ci si arrenda nel pretendere che sia fatta giustizia. La parola “fine” si potrà eventualmente scrivere soltanto in quel momento: quando le vittime di tutte le stragi avvenute nel nostro Paese avranno scritto, accanto ai loro nomi, anche quello dei responsabili a ogni livello e quando sarà definitivamente stabilito per mano di chi, e per quale ragione inconfessabile, hanno avuto stroncata la propria vita.