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Ultima modifica Domenica 24 Aprile 2011 08:14
10 mag 2010
CLANDESTINI?
Scritto da Piergiorgio |
Letto 7303 volte | Pubblicato in Il mio blog
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.«I clandestini che non hanno un lavoro regolare, normalmente delinquono», sentenzia il sindaco di Milano, Letizia Moratti. Gli fa eco l’ineffabile ministro dell’interno Maroni, nonché Cavaliere del Sacro Ordine Piano, quale «cattolico di distintissima condizione» (Corriere della sera 14 ottobre 2008) che afferma che bisogna «potenziare il binomio sicurezza integrazione», portando come esempio riuscito, quanto fatto a Verona dal sindaco Tosi. Lor signori, però, dovrebbero avere anche la decenza di ricordare che a trasformare in reato una condizione soggettiva, che non significa affatto, ipso facto, essere dei delinquenti, sono stati proprio loro; questo governo. E forse farebbero bene, oltre a sbandierare la riuscita lotta agli sbarchi di disperati sulle nostre coste, (90% in meno secondo il Viminale) nascondendo all’opinione pubblica che cosa significa per quei poveri cristi essere rispediti in Libia senza nessuna tutela; cosa accade a tanti immigrati, per molti anni regolari, che all’improvviso perdendo il permesso di soggiorno, finiscono prima in carcere e poi nei CIE (centri d’identificazione ed espulsione).

 Sono storie di cui dovremmo vergognarci, ma per poterlo fare, dovremmo almeno conoscerle. Così non avviene; forse perché nel nostro Pese, a sentire il nostro Presidente del Consiglio, di libertà di stampa ce n’è anche troppa. Infatti le notizie non vengono date; quelle che non fanno comodo. E intanto, discutendo di cittadinanza agli immigrati, la si pensa come una sorta di benevolenza da dare soltanto a quelli in grado di superare infiniti ostacoli, volti a scoraggiare anche il più ben intenzionato fra di loro. Perché, è chiaro, devono esistere cittadini di serie A e di serie B. Altrimenti, noi, nativi, che ci staremmo a fare in un paese nel quale i diritti sono riconosciuti a tutti, semplicemente perché persone? Che poi a delinquere maggiormente, almeno in termini di gravità, di cinismo, di spregiudicatezza, siano italiani, magari importanti, cosa importa? Per questi si pensano misure ad hoc. Che avete capito? Mica per perseguirli e far scontare loro una condanna; sarebbe troppo democratico. No, per impedire che possano essere scoperti e inquisiti. Anzi, si pensa ad impedire che perfino se ne parli, introducendo censure e limitazioni alla libertà di stampa che sanno tanto di regime. Tutto in nome, badate bene, dell’amore per la privacy. Sì, la loro. Quella di chi può permettersi tutto o quasi. Perfino di distorcere la realtà; di chiamare vero il falso e falso il vero. Intanto nei CIE, persone che magari in Italia ci sono da quindici vent’anni, soltanto perché al momento del rinnovo del permesso di soggiorno non hanno trovato un datore di lavoro disposto ad assumerle, e che quindi hanno perso il diritto a rinnovarlo, “qualcuno tenta il suicidio, qualcun altro si imbottisce di psicofarmaci per non impazzire” (Fortresse Europe), nel silenzio quasi assoluto. Persone che all’Italia hanno dato un pezzo importante della loro vita, che magari da noi hanno costruito un tentativo di esistenza dignitosa per sé e famiglia, in nome di una ripugnante idea di sicurezza, finiscono nel girone più profondo di un inferno costruito da persone che si dicono civili: noi. Cos’altro dobbiamo aspettare per avere un sussulto di dignità, un minimo di capacità di rivolta morale, riappropriandoci di quel senso civico in grado di poterci ancora fare annoverare tra gli amanti della democrazia?

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