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10 mag 2010

CLANDESTINI?

.«I clandestini che non hanno un lavoro regolare, normalmente delinquono», sentenzia il sindaco di Milano, Letizia Moratti. Gli fa eco l’ineffabile ministro dell’interno Maroni, nonché Cavaliere del Sacro Ordine Piano, quale «cattolico di distintissima condizione» (Corriere della sera 14 ottobre 2008) che afferma che bisogna «potenziare il binomio sicurezza integrazione», portando come esempio riuscito, quanto fatto a Verona dal sindaco Tosi. Lor signori, però, dovrebbero avere anche la decenza di ricordare che a trasformare in reato una condizione soggettiva, che non significa affatto, ipso facto, essere dei delinquenti, sono stati proprio loro; questo governo. E forse farebbero bene, oltre a sbandierare la riuscita lotta agli sbarchi di disperati sulle nostre coste, (90% in meno secondo il Viminale) nascondendo all’opinione pubblica che cosa significa per quei poveri cristi essere rispediti in Libia senza nessuna tutela; cosa accade a tanti immigrati, per molti anni regolari, che all’improvviso perdendo il permesso di soggiorno, finiscono prima in carcere e poi nei CIE (centri d’identificazione ed espulsione).
Non sono un economista; non me ne intendo di borse, di quotazioni, di titoli, investimenti e quant’altro. Mi pare però abbastanza evidente che quello che emerge in questo momento, attorno al nodo costituito dalla crisi in cui versa la Grecia, (ora anche del Portogallo e poi chissà di chi altro), sia soprattutto la mancanza di una politica dell’Europa realmente solidale. Quelli che si manifestano, sono gli egoismi nazionali, che la moneta unica, e lo si sapeva, non può più mascherare. Ci sono analisti che si spingono a immaginare possibili scenari piuttosto cupi: quali l’istituzione di due monete diverse: una per i paesi più “virtuosi” e un’altra per quelli che portano le “pezze al culo”, fra i quali annoverano pure l’Italia.
Se già a partire dalle elementari, a storia, avessero usato come materia di studio le tante lettere scritte dai condannati a morte, durante la resistenza al nazifascismo, probabilmente oggi non staremmo qui a condannare quanto scritto dal presidente della provincia di Salerno, Edmondo Cirielli. Ma si sa, purtroppo, quanto sofferto da tanti, troppi italiani a causa della dittatura fascista prima, e della guerra poi, non è diventato patrimonio comune. Così ciascuno si sente libero di declinare i valori che hanno spinto migliaia di persone, spesso giovanissime, a fare scelte che hanno significato frequentemente la perdita della propria vita, come meglio crede.
Riforme? Tante volte ho l’impressione che se ne parli tanto per riempire il vuoto che ci attornia. Vuoto di idee e di pensiero; vuoto di azioni, di responsabilità, di lungimiranza. La politica in Italia, fatte salve le poche debite eccezioni, che pure ci sono, naviga più o meno a vista, oppure su rotte fatte da corposi interessi. E fra gli interessi che prevalgono in questo momento, ci sono, senza alcun dubbio, quelli del signor S., che sono mastodontici. A fargli da reggipancia, però è difficile dire con qualche certezza chi è il reggitore e chi colui che è retto in questo momento, ci sono quelli della Lega.  Un gran matrimonio d’interessi al quale l’unico soggetto non invitato è il bene comune. E già, perché di questi tempi, mica è di moda. Cosa importa a lor signori dei disoccupati, di chi fatica ad arrivare a fine mese, degli immigrati, dei rom, delle persone più svantaggiate? Un accidente di niente. E ancor meno importano i diritti, una giustizia davvero equa, giusta; il rispetto delle regole, della Costituzione. L’equilibrio fra i poteri dello stato. E via elencando. Assicurarsi un potere senza condizionamenti, imporre il proprio punto di vista; possibilmente non avere oppositori, se…
03 apr 2010

BUONA PASQUA

«Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio». Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane, scriveva il compianto don Tonino Bello, e proseguiva: «Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo. «Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio», solo allora è consentita la sosta del Golgota. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio…»  Oggi è il giorno della gioia che annuncia la verità di tutto questo e che però impegna anche tutti, e ciascuno di noi, a schiodare tutti i crocifissi della storia. Se pensassimo, al contrario, che l’annuncio della Risurrezione che già albeggia all’orizzonte, fosse una semplice egoistica consolazione individuale che non presuppone alcun impegno, beh allora saremmo davvero da compatire. La speranza, che come luce feconda brilla nei nostri cuori, tante volte smarriti, timorosi, possa aprire le nostre mani al gesto capace di accarezzare chi vive nella tristezza e nel dolore; a pronunciare parole di consolazione, di perdono, di incoraggiamento; a saper vedere e denunciare ogni ingiustizia; a muovere i nostri passi incontro all’altro per riconoscerlo ed abbracciarlo; a costruire percorsi di convivialità e di pace. Allora…
Sono passati trent’anni da quello sparo (24 marzo 1980) che ha messo fine all’esistenza terrena di monsignor Oscar Romero, ma il vescovo salvadoregno è più vivo che mai nella coscienza e nel cuore di milioni di persone che guardano a lui come esempio di pastore che si è fatto popolo; che ha ascoltato il grido di quanti erano stati affidati alla sua cura pastorale; che come il pastore bello del Vangelo, ha saputo dare la sua vita per le sue pecore. Nel cuore e nella coscienza di milioni di cristiani, è san Romero d’America da tempo. Soltanto nella “prudenza” tutta curiale di una Chiesa gerarchica più abituata a fornicare con i potenti che a lasciarsi interrogare dalle istanze di liberazione che salgono dagli strati più umili e poveri del mondo, il mite vescovo Romero può ancora suscitare timore; forse paura.
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