Il pastore buono (Gv 10,11-18)11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12 Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13 perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16 E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17 Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio".
C’è grande differenza tra pastore e pastore. Non tutti sono buoni e belli come quello di cui parla il vangelo di oggi, che riporta quanto Gesù afferma di se stesso. La bellezza e la bontà del Signore risiede nel fatto che lui è pronto, come poi farà, a dare la sua vita per le sue pecore. Non dobbiamo però pensare che il suo dare la sua vita sia da ritenersi un episodio legato alla sua morte in croce. Quello ha rappresentato l’apice del suo essere stato un dono per tutto il tempo della sua vita. Il pastore mercenario, e ce ne sono di mercenari, sia nella società sia nella chiesa, si riconoscono perché oltre ai bei discorsi, cosa nei quali magari brillano (encantabissi dicono da noi), altro non sanno fare e quando si tratta di scegliere tra la loro convenienza e la vita delle persone non hanno alcuna esitazione su cosa scegliere: scelgono se stessi. Perché? Perché a loro non importa nulla delle persone a loro affidate, anche se riescono così bene tante volte a far loro credere il contrario. Gesù, il buon pastore, conosce ciascuno di noi e a noi è dato conoscerlo. Conoscenza per che per essere vera, non si limita a sapere qualche cosa su di lui. È una conoscenza vitale, intima profonda. Naturalmente la nostra conoscenza di lui è sempre approssimativa. Non la sua, che al contrario è certa, sicura. Questa è una grande consolazione che deve stimolarci a confidare nel Signore e aprirci all’incontro con l’altro praticando lo stesso stile di Gesù nel rapporti interpersonali. Stile che comporta la capacità di vedere in ogni altro un tu che ci interpella, sollecitandoci a una migliore conoscenza di noi stessi e conseguentemente a una migliore e maggiore capacità ricettiva nei confronti dell’altro. In questo rapporto di reciprocità attenta e premurosa ci è dato conoscere sempre più e meglio anche il Signore.