In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei.
Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva. Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo. Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato». E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.
Mi piace questa sottolineatura che fa Luca, cioè che a ciascuna persona convenuta per essere guarita, Gesù imponga le mani. Mi pare sia evidenziato il fatto che per Gesù non c’era davanti a lui una massa anonima ma singoli individui ai quali rivolge una attenzione tutta personale, particolare. È quanto dovremmo fare anche noi che siamo tentati tante volte di guardare alle persone come un insieme indistinto, specialmente quando si tratta di persone segnate dalla sofferenza o dall’emarginazione, tant’è vero che usiamo parlare di ammalati, di tossicodipendenti, di matti, di barboni e via discorrendo. Per Gesù invece esiste il tale e tal altro; ognuno con un nome, un volto, una storia. Anche per ciascuno di noi il Signore ha per così dire un occhio di riguardo. Ci conosce per nome, conosce la nostra storia, le nostre gioie, i nostri dolori, le nostre sofferenze, i nostri dubbi, le nostre paure. Non è forse meraviglioso sapersi amati personalmente?