E certo che ci saranno quelli che plauderanno alla decisione della Giunta provinciale di Trento di “comandare” al lavoro in agricoltura i disoccupati trentini, pena la perdita per loro di eventuali sussidi e integrazioni al reddito.
Prima i trentini, dunque, anche con le maniere forti se serve, così da dare un preciso segnale che si cambia, che di immigrati non abbiamo bisogno e se proprio non possiamo fare a meno di qualcuno di loro, si tratterà di numeri ridotti. E poi, che diamine!, basta con questo assistenzialismo retaggio del passato. Si deve guadagnarsi da vivere. Basta con i fannulloni e se il lavoro c’è, poco o tanto che sia, buona o meno buono, ben pagato e o meno, o mangiar di questa minestra o saltare dalla finestra. Personalmente sono abbastanza curioso di vedere quale sarà l’esito di questa imposizione, quali le ricadute sui contadini e il loro lavoro e quali le razioni dopo la sperimentazione, specie tra quelli che hanno votato Lega. Ma il punto non è questo e nemmeno il lavoro in se stesso, posto che sono del parere che ogni lavoro sia ugualmente dignitoso in se stesso. Ciò che fa la differenza è il trattamento riservato a chi lo svolge, l’assicurazione o meno di previdenze, paga e ecc. Sono anche del parere che qualunque lavoro di tipo manuale possa essere prezioso laboratorio di apprendimento, maturazione e arricchimento. Purché sia per quanto possibile una scelta libera. Nella mia vita ho fatto l’operaio metalmeccanico per 10 lunghi anni, in seguito ho sgomberato quintali di “merda” da soffitte e cantine di Trento, ho appreso l’arte del restauro di mobili e della loro costruzione ex novo, prima di assumere l’incarico di direttore della cooperativa nella quale ho lavorato a lungo. Non ho mai disdegnato né l’uno né l’altro, ma appunto, era una mia libera scelta. Sono sempre stato dell’avviso che fosse importante saper coniugare l’abilità manuale e quella intellettuale. Magari anche chi svolge o svolgerà in prevalenza la seconda o assumerà compiti amministrativi e politici nella vita avesse l’opportunità e la volontà di sperimentarsi, poco o tanto, anche nel lavoro manuale, in attività giudicate di second’ordine o addirittura squalificanti. Saper piantare correttamente un chiodo su una parete per appendervi un quadro vale quanto saper scrivere una poesia, io penso, ma pretendere di imporre un percorso lavorativo, qualunque sia, senza stare a domandarsi il perché della mancanza di lavoro, di opportunità di impiego adeguate alla formazione ricevuta o come ripiego di tipo punitivo nei confronti di una categoria di persone per escluderne altre al solo scopo di dimostrare la validità di assunti politici perseguiti a prescindere ed elevati a principi irrinunciabili, è solo segno di protervia e cecità politica e sociale. Che poi una simile determinazione sia presa da un partito, la Lega, che ha per segretario un individuo del quale è lecito pensare, curriculum lavorativo alla mano; non sappia nemmeno da che parte si impugna un badile, beh, suscita più di un interrogativo. Lev Tolstoj ha scritto che possiamo vivere nel mondo una vita meravigliosa se sappiamo lavorare e amare, lavorare per coloro che amiamo e amare ciò per cui lavoriamo. Ecco, credo che una classe politica seria dovrebbe impegnarsi rendere possibile questo per tutti: lavorare per chi amiamo e amare ciò che facciamo per vivere, non ritornare ai tempi in cui la manodopera erano solo braccia da utilizzare là dove serviva, come serviva e per il tempo che si rendeva necessario.