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21 nov 2018
PRIMUM VIVERE, DEINDE PHILOSOPHARI
Scritto da Piergiorgio |
Letto 2886 volte | Pubblicato in Il mio blog
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Anche chi non conosce il latino, anche chi parla una lingua diversa dalla nostra, anche chi viene da un altro paese conosce il senso di questa massima. Anzi, con tutta probabilità il significato più profondo e immediato è avvertito proprio da chi si trova a sperimentare sulla propria pelle la necessità di soddisfare il bisogno primario di ogni persona: vivere.

Si può rinunciare a molte cose nella vita, o attenersi, nel soddisfarle, a una classifica tra cose più o meno importanti, ma non si può rinunciare a quelle basilari per vivere. Credo che questa sia una di quelle evidenze che si usa definire lapalissiane, e tuttavia non pare proprio che  trovi considerazione da parte di chi dovrebbe mostrarne più del semplice uomo della strada. Mi riferisco ai politici e ai governanti che “filosofando”, ma il termine è chiaramente improprio a questo riguardo, operano e legiferano per fare in modo da rendere sempre più difficile e doloroso il vivere di tante persone. Quale vantaggio si può ricavare dal costringere le persone in uno stato di deprivazione tale da spingerle ancor più ai margini e a rischio di illegalità? Mi pare semplice e allo stesso tempo cinico. Non trovo altra motivazione. Si ha bisogno di poter impiegare in continuazione un tema che ha fatto la fortuna politica di forze che sulla paura hanno costruito il proprio consenso. Uno stato di diritto come si dichiara il nostro, per favorire al massimo il rispetto delle norme che regolano la convivenza tra le persone, dovrebbe, a rigore di logica e di buon senso, cercare di rimuovere quanto più possibile gli ostacoli che si frappongono. Invece avviene proprio il contrario. Un esempio eclatante, tra i tanti, è il trattamento che si riserva agli stranieri. Pare ci sia la volontà di infierire su di loro a prescindere. Si usa il termine clandestino come sinonimo di delinquente, quando invece non lo è, e anziché facilitare l’emersione dalla irregolarità, premiando i comportamenti onesti, si costringono le persone giunte da noi in cerca di un futuro migliore a una corsa ad ostacoli che scoraggerebbe anche la persona più ben disposta. Quando qualcuno tra gli irregolari cede all’illegalità, ecco che ci si strappa le vesti e, ribadendo l’assunto sempre professato, si afferma con aria truce: “io ve lo avevo detto”. Quante risorse umane ed economiche sprecate, sacrificate sull’altare del tornaconto politico di bassa lega! Pensate quanto costa alla società, quindi a tutti noi, un immigrato irregolare costretto a vivere di assistenza pubblica per il mangiare e il dormire, che lavora, quando capita, in nero, favorendo così l’evasione fiscale e lo sfruttamento, che può finire magari suo malgrado in carcere (altro costo non piccolo per la comunità), poi rinchiuso in un centro di identificazione ed espulsione, quindi nuovamente liberato ma con l’ingiunzione di lasciare il nostro Paese, cosa che anche volesse, non sarebbe in grado di fare per mancanza di mezzi e denaro. Ora prendete quello stesso immigrato, dategli un permesso di soggiorno con il quale possa cercarsi un  lavoro regolare, una casa, sistemarsi, mettere su famiglia avere dei figli, concorrere come tutti noi a pagare le tasse, entrare a far parte a pieno titolo del quartiere, paese, città. Provatevi a confrontare i due modelli possibili e fare due conti. Non serve essere degli economisti per giungere alla conclusione che il secondo è più vantaggioso per l’interessato e per tutti noi. Ma allora perché le gente continua a premiare quanti, barando, raccontano una “verità” differente? Qui sì, che entra in campo la filosofia, come possibile risposta.

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