Il dizionario filosofico definisce la responsabilità come capacità di rispondere dei propri comportamenti, rendendone ragione e accettandone le conseguenze. Non è quanto sta avvenendo in Siria,
e non solo, dove al contrario nessuno dei contendenti in campo pare interessato a questo. Al contrario, la difesa della propria “reputazione”, anche nel caso confliggesse con la realtà fattuale, appare la priorità da difendere a qualunque costo. Se non fosse tremendamente tragico, verrebbe da sorridere. Scorrendo le notizie di stampa, leggendo le dichiarazioni di quanti in quel teatro di guerra inzuppano il loro dire nel sangue delle vittime, ma standone a debita distanza, pare di assistere a beghe tra bambini. È stato lui! Esclama il primo. No, ha iniziato l’altro!, ribatte il secondo, e poi interviene un terzo e un quarto a dar mano forte alla rissa tra galli. Nel frattempo la gente muore, rimane ferita, scossa, scioccata, ridotta alla fame e privata anche della più piccola speranza che abbia termine la quotidiana carneficina. Mi chiedo come dormano quanti, nei vari teatri di guerra, hanno delle precise responsabilità per quanto accade, e non riesco a darmi una risposta. Magari i loro sonni fossero turbati da incubi in grado di togliere loro il riposo e spingerli a ravvedersi, ponendo fine a ogni violenza! Le vittime della loro violenza, dei missili di precisione, delle bombe che cadono dall’alto, temo che non incrocino mai i loro sguardi, e questo, con ogni probabilità è una delle tante ragioni che contribuiscono a distendere le loro coscienze assopite. Se le urla di dolore dei feriti, il gemito dei morenti, lo strazio dei famigliari che piangono vite stroncate senza alcuna ragione, potessero, senza interruzione, infastidire i convivi di loro signori, forse si aprirebbe un qualche spiraglio di pace. Spetta anche a ciascuno di noi ricordare a costoro la responsabilità dei loro comportamenti, rendendone ragione.