Soffiano forti i venti di guerra in questo inizio 2015 e le ragioni di quanti sollecitano interventi militari alle porte di casa possono sembrare del tutto ragionevoli, tenuto conto di quanto sta accadendo sulla riva opposta del Mediterraneo.
Ma è proprio quando le ragioni di quanti fremono per rispondere con la violenza delle armi ad altra violenza in atto, che c’è bisogno di maggior sangue freddo, analisi approfondite e capacità di esperire tutte le alternative possibili, prima di arrivare a scelte che potrebbero precipitarci nel baratro senza ritorno di una deflagrazione dagli esiti imprevedibili. Non c’è dubbio alcuno che l’Isis, che pare rinforzarsi in Libia, rappresenti per noi una minaccia diretta e grave. Forse non sarebbe inutile ricordare le responsabilità che abbiamo in tutto quanto sta accadendo e come siamo stati noi occidentali, con i vari interventi militari, con le guerre avviate per “esportare la democrazia” ad aver provocato l’apertura di quel vaso di Pandora che ora tragicamente è sotto gli occhi di tutti. Purtroppo abbiamo la memoria corta e preferiamo girare lo sguardo altrove, illudendoci che si possano sanare ferite profonde continuando ad adoperare il bisturi, là dove probabilmente servirebbero ben altri interventi medici. Quando si fomenta l’odio e lo si propaga è da ingenui attendersi in cambio abbracci e carezze. Naturalmente è esercizio inutile anche piangere sul latte versato e quando il danno è fatto non rimane altro che porvi rimedio nel modo migliore. È qui però che insorgono i maggiori problemi. Difficilmente agli errori che facciamo, quando vogliamo porre rimedio da soli, seguono esiti di segno diverso. Il più delle volte finiamo con il farne di peggiori; per questo serve riflettere, analizzare, capire e agire con tutta la prudenza del caso. Osare percorsi di pace anche là dove appare del tutto irragionevole e utopistico, non dovrebbe rappresentare un ostacolo insormontabile. Questo, a mio modesto parere, non significa abdicare a qualunque uso della violenza, purché sia commisurata al bisogno e serva soltanto a disarmare l’eventuale aggressore. Esercizio difficile da conseguire perché gli stati non sono abituati a ragionare in tal senso e soprattutto perché gli stessi, i gruppi di potere, le varie lobby nascondono interessi inconfessabili, generalmente poco noti o del tutto sconosciuti a noi poveri mortali. Gli interessi in ballo, su un fronte e sull’altro, sono davvero robusti. Ecco che allora ciascun dei contendenti, come si è sempre fatto anche in passato (la storia lo insegna!), ricorre a tutto l’armamentario propagandistico che i mezzi di comunicazione consentono per convincere i sudditi dei vari schieramenti in campo della giustezza della propria causa. Di una cosa sono abbastanza certo, come affermava l’anonimo autore dell’aforisma: la guerra è il massacro di persone che non si conoscono, per conto di persone che si conoscono ma non si massacrano. Così come è di tutta evidenza che ormai a rimetterci, in caso di conflitto, sono soprattutto i civili che fanno numero a denominatore: pura statistica. Mi è impossibile immaginare una guerra giusta. Fatti due conti, le perdite sono di gran lunga superiori ai ricavi e come affermava Georges Clemenceau, la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai militari, ma anche a certi politici, aggiungo io. In attesa, come affermava Jim Morrison, che un giorno anche la guerra si inchini al suono di una chitarra, non ci rimane che rimanere saldi e fermi in quanto la nostra Costituzione afferma, impedendo che subdolamente, come già avvenuto in passato, sia nei fatti stravolto il principio che aveva indotto i padri costituenti a ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consentendo, in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. (art 11)