Leggendo la cronaca di questi giorni, che narra dell’ennesima levata di scudi da parte dei soliti noti, in primis quelli della Lega, che se c’è da innalzare barricate, non importa a quale titolo, basta siano barricate, sono sempre immancabilmente presenti,
mi è sorto il dubbio che questa volta il tutto sia legato al superstizioso rigetto del numero 17. Infatti, è dell’accoglienza di diciassette profughi che si parla, che si sarebbero dovuti accogliere in quel di Piné. Immaginare che l’arrivo di 17 persone possa sconvolgere la vita di un’intera valle pare francamente inimmaginabile, ma si sa, per quanti hanno l’occhio malevolo qualunque pulviscolo, diventa una montagna. E poi – vuoi mettere? – non sia mai che noi possiamo farci carico di tutte le magagne del mondo, di sconosciuti che magari vengono qua da infiltrati, longa manus di quello scellerato Isis che tanto ci inquieta. Abbiamo già così tanti problemi, che mica ci possiamo occupare anche di quelli di altri, che poi a ben vedere sono soltanto dei parassiti destinati a un mantenimento forzoso da parte nostra chissà per quanto tempo. E allora, visto e considerato che le argomentazioni contro, ripetono stancamente i soliti triti e ritriti argomenti (ormai le motivazioni fornite appaiono dei copia e incolla reperibili ovunque sulla rete), ho pensato che dietro la disputa si celino in realtà motivazioni ancora più mediocri e inconfessabili, quali appunto la superstizione… Per la smorfia napoletana il 17 è “la disgrazia”. Se poi dovesse saldarsi con un venerdì, meglio addirittura non uscire di casa. Non si sa mai. Ma perché mai, direte voi, il numero 17 porta tanta sfortuna? Come e quando è nata la discriminazione verso un numero che a ben riflettere, al pari di altri, non fa che il suo onesto e necessario, utile mestiere? Pare che una spiegazione piuttosto accreditata, tra i cultori della materia, faccia risalire il tutto addirittura all’antica Roma. Il numero 17 era considerato un numero nefasto perché la sua rappresentazione in cifre romane XVII è in realtà l’anagramma di VIXI che in latino significa, “vissi”, pertanto defunto, non più vivo. Naturalmente esistono anche altre spiegazioni ma credo che questa sia la più significativa e quella più capace di descrivere quanti, di fronte al dolore altrui, sanno soltanto rinchiudersi in se stessi avanzando ogni sorta di giustificazione per non mettersi in discussione e provare a immaginare un approccio diverso nei confronti di problematiche nuove che, certo, possono anche suscitare preoccupazione, ma non è detto debbano necessariamente creare allarme e contrapposizione. Quanti ritengono che dinanzi a fenomeni tragici e complessi che interrogano la coscienza di ogni persona realmente democratica, si possa rispondere innalzando steccati e muri di divisione a prescindere, che ne siano consapevoli o meno, sono già morti. La vita non conosce confini o barriere; chiede di potersi esprimere comunque. La scelta possibile è soltanto quella di aprirsi alla vita e questo significa per tutti cambiare.