«La prima pietra della sicurezza resta la Vigilanza», scriveva nel suo libro di memorie, Il veterano, Carl Schrade, il giovane commerciante svizzero arrestato nel 1934, all’uscita di un caffè berlinese, per aver pronunciato alcune frasi critiche sul regime hitleriano
e salvatosi nonostante 11 anni di vita passati nei più tristemente noti luoghi dell’orrore: Lichtenburg, Esterwegen, Sachsenhausen, Buchenwald, Flossenburg. Oggi è il giorno della memoria in ricordo dei milioni di persone che, con cinica e meticolosa programmazione, sono state torturate e uccise nel corso degli anni nei quali la notte della ragione aveva avuto il sopravvento in Europa. Chiedersi come sia stato possibile che sia avvenuto quanto accaduto nel cuore dell’Europa, non è esercizio sterile è inutile. Ricordare le innumerevoli vittime, raffigurandosene i volti e le storie, è esercizio difficile, forse impossibile, perché la portata del dolore è sconfinata per potersela raffigurare. Nella nostra limitata capacità possiamo soltanto accogliere frammenti di quell’oceano di sofferenza e di dolore che è stata la shoah. Eppure dobbiamo farlo, se non vogliamo renderci, sia pure a distanza, corresponsabili. Ma c’è qualche cosa in più che dobbiamo fare, come suggeriscono le vittime: Vigilare. Vigilare perché non accada mai più. Questo, assieme al doveroso ricordo, è quanto siamo tutti chiamati a fare, perché anche oggi, con modalità diverse, il discrimine passa tra quanti, anche pagando di persona, sono disposti a riconoscere in ogni uomo o donna una persona con una dignità che non può mai essere conculcata, e quanti, per calcolo personale, per convenienza, in nome di un’ideologia, o per qualsiasi altra ragione, sono disposti a ridurre le persone a numeri, a problemi, a scarti di cui disfarsi in modo più o meno subdolo, violento o scaltro. Allora non basta ricordare le nefandezze compiute dal nazi fascismo ritenendoci sufficientemente avveduti e vaccinati da quanto appreso dalla storia, ma ancor più lasciarci educare dalle tante storie di persone che in quei frangenti hanno saputo dire di no; trarsi fuori con coraggio, tante volte in modo anonimo e sconosciuto, dall’agire gregario, rivendicando il diritto-dovere di contrapporsi alla barbarie. Dobbiamo anche a loro, oltre che alle vittime, la nascita di un mondo nuovo e una speranza che non è mai scemata neanche nel momento più buio della nostra storia recente. «In undici anni di campo di concentramento, – scrive ancora Schrade – ho imparato a non sottovalutare l’uomo, quale ne sia la razza, la religione o la maturità politica. Ho acquisito la convinzione che nelle circostanze importanti il concetto di paese, di sangue, di individuo, cede facilmente il posto a quello di UMANITÀ, e che i fisiologici antagonismi non sussistono a lungo quando lo spirito domina la materia. Oso scrivere che nei campi di concentramento ho avuto la certezza della possibilità di un mondo migliore basato sulla comprensione, la carità, il rispetto reciproco». Ma avverte subito dopo Carl Schrade, che: «Lo spirito nazista, come ognuno di noi conosce, non si arrenderà mai alla dolcezza, né alla giustizia. Non si arrenderà che alla forza. La bontà, la clemenza, sono agli occhi delle vecchie SS e dei loro satelliti sinonimi di debolezza, direi perfino di tare». Per questo invita, come detto in apertura, alla Vigilanza. Da una parte dobbiamo costruire degli antidoti culturali perché prevalga nella società uno spirito di “comprensione, carità e rispetto reciproco”, dall’altra, attraverso le leggi che regolano il convivere tra noi, dobbiamo saperci attrezzare perché la risposta di fronte a qualunque rigurgito nazi fascista sia drastica, senza se e, senza ma, pena ripiombare in pieno sonno, ancora una volta, della ragione.