Titolava provocatoriamente così, una famosa canzone degli anni Sessanta. Parafrasando il testo di quella canzone, alla luce di quanto accaduto ieri a Parigi, ma che accade un po’ ovunque nel mondo, si potrebbe anche oggi affermare che dio è morto.
È morto ovunque si pretenda nel suo nome, comunque lo si chiami, di poter uccidere, seviziare, imprigionare, torturare, soggiogare. È auspicabile, e c’è da credere che sia così, che anche le giovani generazioni di oggi, qualunque sia il loro credo religioso, non credano più “in ciò che spesso è mascherato con la fede, nei miti eterni della patria o dell’eroe perché è venuto ormai il momento di negare tutto ci che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura, una politica che è solo far carriera, il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto”. Sì, credo sia giunto il tempo di buttare all’aria tutto ciò che impedisce agli uomini di comprendersi nella diversità, sapendosi tenere sempre per mano anche quando su tante o poche cose si dissente. È arrivato il momento di mettere al bando ogni violenza; non solo quella armata, ma anche quella fatta di slogan e di parole d’ordine che traggono linfa dal fondo della pancia, ammantandosi di difesa di valori che sono negati già dalle stesse parole usate. È il momento di imparare rapidamente il rispetto reciproco e saper distinguere tra fedeli di fede mussulmana e quanti, strumentalizzando quel credo, mirano proprio a far crescere ovunque l’islamofobia con il disegno, non tanto segreto, di coalizzare attorno a loro la maggioranza di quegli stessi credenti che sono le prime vittime delle loro feroci azioni. Il loro agire è speculare a quello di quanti hanno interesse a fomentare focolai di guerra ovunque. Il disegno di entrambi è criminale, sia che si rivesta di motivazioni religiose, sia che usi argomenti apparentemente più profani. I responsabili religiosi di ogni credo – già lo hanno fatto, ma repetita iuvant – dovrebbero alzare incessantemente la loro voce per affermare senza reticenza alcuna, senza ambiguità, che quanti uccidono in nome di dio in realtà lo bestemmiano perché la sua presenza la possiamo cogliere solo nell’uomo. Tutto il resto è vaneggiamento e pazzia. Se Dio era presente da qualche parte, ieri a Parigi, lo era in quei caduti sotto il piombo dei terroristi, anche se quei caduti magari in lui non credevano. Dio è sempre dalla parte delle vittime. Se c’è un’icona di Dio nei tragici fatti di ieri, è tutta racchiusa in quel poliziotto di nome Ahmed che, bocconi per terra, alza in un ultimo vano tentativo d’invocare pietà un braccio verso il suo assassino. Questi, sparando, invocava Allah, ma Allah era in quell’uomo steso a terra e rispondeva con quel suo gesto di muta indifesa. La canzone ricordata all’inizio terminava con parole di speranza: “Ma penso che questa mia generazione è preparata a un mondo nuovo e a una speranza appena nata, ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi, perché sappiamo che se dio muore è per tre giorni e poi risorge…”. Sta a tutti noi rendere attuali queste parole, questa speranza, ostracizzando ogni violenza, ogni sete di vendetta, camminando tenendoci per mano e credendo che siamo chiamati a diventare fratelli in umanità, unico nostro futuro.