Oggi più che mai, oggi più di ieri, la sfida che è posta davanti a tutti noi, è quella di rimanere umani. Crescere in umanità a dispetto di tutto, senza lasciarci travolgere da quanto di terrificante avviene nel mondo, aumentando la spirale di odio e di violenza che avrebbe soltanto il potere di travolgerci in una tragedia non paragonabile a quelle che l’umanità ha già conosciuto in passato.
Io non saprei dire quanti tra noi sono davvero avvertiti della minaccia che incombe sopra l’umanità. Non credo sia una visione pessimistica o ingenuamente allarmistica la mia. È accaduto anche in passato che conflitti, inizialmente locali, poi si trasformassero in deflagrazione di più vasta portata. L’incendio non è mai stato subitaneo; improvviso e quando è scoppiato ha fatto seguito a focolai ritenuti apparentemente controllabili. Leggendo di quanto accade nel Medio Oriente e in Ucraina e degli scenari che i vari “esperti” tracciano per il futuro, di quanto dichiarano i vari leader politici, ho l’amara sensazione che si stia giocando pericolosamente con il fuoco, immaginando di poterlo, da una parte, alimentare e dall’altra tenere sotto controllo, impedendo di scottarsi troppo. Ecco perché ho iniziato dicendo che ciò di cui abbiamo bisogno è di uno sforzo ampio, condiviso volto a rimanere umani nella temperie del momento, evitando di lasciarsi travolgere da sentimenti di rivalsa, ritorsione e rappresaglia nei confronti di quanti vorrebbero trascinarci dentro una logica del tutti contro tutti, fidando che con la violenza si possano risolvere i contenziosi in atto in varie parti del mondo. Si dirà che con coloro che del terrore hanno fatto una bandiere non si può realisticamente dialogare, ad esempio, e chi lo afferma ha certamente valide ragioni. È altrettanto vero, però, io credo, che non sia una soluzione neppure ritenere che il demonio siano soltanto costoro e che tutti gli altri siano candidi agnelli che non hanno nulla da rimproverarsi, di cui fare ammenda, cambiando modo di agire. Se, come ha detto papa Francesco, è giusto e doveroso fermare l’aggressore ingiusto, è altrettanto vero, ritengo, cercare di comprendere perché è diventato tale, chi lo ha foraggiato e perché e quindi, oltre che fermarlo – chiarendo in quale modo lo si vuole fare – chiarire anche senza più ambiguità che questo deve essere compito della comunità internazionale secondo una logica di giustizia e non di vendetta. È altrettanto necessario e fondamentale impegnarsi a risolvere almeno i più spinosi dei problemi e delle ingiustizie che fino ad ora non hanno avuto soluzione perché non le si sono volute davvero affrontare, aggiungendone anzi delle altre, a quelle già endemiche e storicamente presenti nel mondo da decenni. C’è un'unica guerra che vorrei tanto fosse dichiarata dalla comunità internazionale, senza divisioni di sorta e alla quale vorrai tanto poter partecipare attivamente: quella contro la povertà, l’indigenza, le ingiustizie, le malattie, la fame, la disoccupazione, lo sfruttamento. Ecco, se fosse questa la guerra che si vuole combattere, mi unirei decisamente a quanti la volessero proporre e dichiarare e vorrei tanto che lo si facesse proponendosi la resa incondizionata dei mali da combattere. Insomma che non fosse una guerra pro forma, tanto per acchiappare la simpatia della gente come accade sovente da parte di politici e governanti, quando fanno roboanti e vuote promesse per ottenere consenso. “Perché il male vinca è sufficiente che gli uomini non facciano nulla”, diceva Edmund Burke, il Cicerone britannico del 1700. Noi tutti non possiamo permetterci di stare alla finestra a guardare, sperando che i drammi del momento si risolvano magicamente da soli. Serve un’assunzione di responsabilità da parte di tutti perché la pace non è compito o responsabilità di qualcuno, ma di tutti quanti la vogliono perseguire. Diversamente prevarranno quanti ripongono fiducia nelle armi e nella violenza, anche se a parole, sostengono il contrario.