Razzisti, noi? Quando mai! E certo che no; i leghisti, così come altri, non ammetteranno mai di esserlo. Non sarebbe politicamente corretto. Se per razzismo intendiamo riferirci alla definizione che ne dà il vocabolario,
ossia “una ideologia, teoria o prassi politica fondata sull’arbitrario presupposto dell’esistenza di razze umane biologicamente e storicamente «superiori», destinate al comando, e di altre «inferiori», destinate alla sottomissione”, probabilmente avranno anche ragione a sostenere che non lo sono. Però più genericamente per razzismo s’intende anche tutto quel “complesso di manifestazioni o atteggiamenti di intolleranza originati da profondi e radicati pregiudizi sociali ed espressi attraverso forme di disprezzo ed emarginazione nei confronti di individui o gruppi appartenenti a comunità etniche e culturali diverse”. E qui è già molto più difficile argomentare che non si è razzisti, quando la cronaca più recente, ma anche dichiarazioni, atteggiamenti, comportamenti, delibere e perfino leggi proposte e licenziate in passato, sono lì a ricordare a chiunque voglia semplicemente informarsi, quanto siano espressine evidente di atteggiamenti di intolleranza, forme di disprezzo, pregiudizi radicati ed emarginazione nei confronti di gruppi e individui appartenenti a comunità etniche e culturali diverse. D’altronde ciascuno pende dalla parte dove porta la gobba, si potrebbe affermare, senza tema di essere smentiti. Ed ecco allora che per non smentirsi (ma quando mai l’hanno fatto?) i leghisti s’inventano una nuova rubrica sul loro giornale la Padania, nella quale pubblicano l’agenda degli appuntamenti della ministra Kyenge, giustificando la cosa (si fa per dire) con l’argomentazione che “I nostri lettori hanno visto che in questi nove mesi Kyenge non ha prodotto alcun provvedimento in Consiglio dei ministri e in Parlamento. Sono nove mesi che fa pellegrinaggio filo-immigrazionista in lungo e in largo per l’Italia e i nostri lettori vogliono essere informati sulle sue iniziative”, ha spiegato la direttrice del quotidiano Aurora Lussana. Anche un ragazzino sarebbe in grado di controbattere: ma tra tutti i ministri perché solo la Kyenge? Legittimo il sospetto che sia dovuto al fatto che è di pelle nera, oltre che ministra per l’integrazione. Il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, su Facebook afferma che “è giusto che tutti i cittadini che le pagano lo stipendio, leghisti compresi, sappiano come questa signora spende i loro soldi”. Non ho memoria che simili argomenti fossero in voga quando loro stavano al governo. Più sprezzante ancora il presidente della Lega Nord al Senato Massimo Bitonci, che ha attaccato la ministra in aula, affermando che “la Kyenge non sa cos’è l’integrazione, non sa niente di niente, vuole favorire la negritudine come in Francia, ma noi possiamo farne a meno”. Forse il Bitonci nemmeno sa che il termine negritudine è stato coniato, a quanto pare, dallo scrittore e presidente del Senegal L.-S. Senghor (1906-2001), una figura di spicco; considerato uno tra i più grandi intellettuali africani del XX secolo, nel campo della letteratura, la scultura, la filosofia. Qualcuno insomma dal quale forse avrebbe anche lui da imparare. Per negritudine, poi, si intende quell’insieme “dei valori propri della tradizione culturale negra, che pur nella diversità delle sue affermazioni ed espressioni si caratterizza per un atteggiamento più affettivo che razionale verso il mondo, un gusto del concreto e della vita, il senso dell’unità cosmica e dell’intima partecipazione ad essa dell’uomo, lo spirito comunitario”. Tutte cose, io credo, delle quali noi che ci definiamo civili, e a maggior ragione quanti si ergono a difensori di una patria padana che esiste soltanto nella loro farneticante fantasia, difettano grandemente.