È per stato di necessità, ci dicono, a destra e a manca, che dobbiamo fare un governo di larghe intese. Che il nostro Paese si trovi in uno stato di necessità quasi comatoso, è fuori discussione. Può essere perfino vero che non esista altra soluzione che quella che si prospetta in queste ore, per tentare di risolvere alcuni pochi nodi di questa ingarbugliata vicenda, ma se così fosse, i politici che stanno tentando di tessere la tela di un governassimo, dovrebbero quanto meno avere l’umiltà di dire apertamente che hanno sbagliato su tutti i fronti.
Dovrebbero avere l’onestà di dire ai propri elettori quali sono i margini entro i quali intendono collaborare, per raggiungere quali obiettivi, e il tempo che si danno per farlo, per poi restituirci il diritto di scegliere a chi affidare nuovamente il governo del Paese. Invece, dopo essersi sbranati - a parole, tra loro – ora vorrebbero farci credere che d’incanto tutto quanto è cambiato e che, non si capisce per quale magia, saranno in grado di fare quanto non hanno fatto nel recente passato. Convinto da sempre che la politica sia l’arte del possibile, ho sempre guardato ad essa con un certo disincanto, non attribuendole quei poteri catartici che altri le attribuiscono. Non mi fanno ombra i possibili e talvolta necessitati compromessi che derivano dal dover comporre visioni e prospettive diverse nella ricerca di soluzione ai problemi, talvolta drammatici che interessano la collettività. Per questo ritengo che il “mai” in politica sia quanto meno una forzatura lessicale, oltre che concettuale. Detto questo però una logica conseguenza sarebbe che i politici non si proponessero come dei messia invasati al solo scopo di raccattare voti; che fossero un po’ più onesti con se stessi e con i propri elettori, dicendo apertamente ciò che vorrebbero poter conseguire, distinguendolo da ciò che saranno in grado realmente di fare e che imparassero a non demonizzare i propri avversari, sapendo che magari con gli stessi dovranno poi venire a patti. Perché, che lo vogliamo o meno, è questo che da sempre avviene dentro i palazzi del potere, proprio perché in un sistema democratico, nessuno può onestamente sostenere, quand’anche avesse i numeri per farlo, di poter operare senza tener conto anche di chi non rappresenta. Ci sono, è del tutto evidente, valori, comportamenti e decisioni sui quali non è possibile né auspicabile alcun compromesso, perché, oltre che un tradimento della propria identità più profonda, degli impegni assunti con il proprio elettorato, sarebbero confliggenti con i valori più dirimenti che si intendo rappresentare. Non so se accade soltanto da noi, se faccia parte di una modalità specifica di quanti fanno politica o di una certa immaturità umana e psicologica degli stessi, ma da troppi anni sentiamo dire, da l’uno o l’altro: con quello non prenderò in futuro neanche un caffè, per poi vederli sottobraccio conversare amabilmente e accordarsi su cose ben più sostanziose. Sarebbe meglio che tutti, ma proprio tutti, imparassero a bere il caffè assieme, a non insultarsi reciprocamente per offrire titoli ai giornali e che, al contrario, dicessero apertamente su quali cose, e perché, non sono disponibili a compromessi di sorta, sapendo distinguere tra le due cose. La coerenza, la trasparenza, l’onestà non è proprio moneta corrente tra tanti rappresentanti politici; e neanche la generosità, il lavoro di squadra, il disinteresse personale e la ricerca del bene comune. Prevalgono troppo spesso interessi personali, di bassa bottega; la ricerca a tutti i costi del successo personale o di corrente, la smania dei primi posti, la convinzione di essere gli unici ad avere qualche cosa di valido da dire e da proporre, anche quando i fatti sono lì a dimostrare la piccineria personale, la mancanza di competenza e di intelligenza politica, i requisiti minimi per essere all’altezza dei compiti che ci si è assunti. Davvero abbiamo bisogno di un cambiamento profondo, ma di tipo culturale, prima ancora che generazionale, cosa che difetta un po’ in tutti gli schieramenti, ad iniziare da quanti della politica hanno fatto ormai un mestiere – magari non il principale, curando molti altri interessi – e che non sanno farsi da parte, come le mummie posizionate nelle vetrine dei musei e che ritengono, solo perché mummie, di non poter rinunciare a far da simulacri.