Fino a quando potrà reggere la coesione sociale nel nostro Paese? È una domanda che dovrebbe inquietare molti, specialmente quanti hanno responsabilità politiche e di decisione. Non si tratta, si badi bene, di improvvisare delle risposte purché siano, ma di riscoprire la responsabilità personale di ciascuno, sapendola coniugare con quella collettiva, per trovare delle vie di uscita alla presente crisi, sapendo costruire il bene comune.
E il bene comune non è e non può essere la sommatoria di interessi particolari per cui la soluzione andrebbe ricercata in una sorta di assemblement in grado di mettere assieme opposti inconciliabili tra loro; una specie di colpo alla botta e una al cerchio. “Il bene comune è l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente” (Gaudium et Spes 26). Le esigenze del bene comune riguardano vari ambiti, tra i quali la prestazione dei servizi essenziali delle persone che sono al contempo diritti inalienabili delle stesse: l’alimentazione, l’abitazione, il lavoro, l’accesso alla cultura, trasporti, salute ecc. Allora si deve partire dalla volontà di rispondere a questi bisogni primari, innanzitutto; bisogni che stanno diventano sempre più diffusamente, e tragicamente, impossibili da soddisfare per migliaia di persone, e il rischio che corriamo è che si inneschi una guerra tra poveri dagli esiti imprevedibili. Quando le persone si vedono non più tutelate, con un futuro cupo davanti, possono più facilmente essere attratte da proposte di soluzione sbrigative e poco meditate. La rincorsa al si salvi chi può, in una situazione di crescente precarietà e difficoltà economica e sociale, oltre che di senso e di valori, può innescare conflittualità sempre più accentuati e foriere di esiti inimmaginabili. Ecco perché è urgente che sia posta mano alla soluzione quantomeno dei problemi più urgenti e indilazionabili di carattere economico occupazionale e di garanzia di condizioni minime di vivibilità per tutti. Quanti si attardano a difendere convenienze e interessi di parte, peggio ancora se meschinamente personali, come accade di osservare, sono degli irresponsabili; dei cinici che non meritano alcun consenso. Ci sono anche coloro che hanno tutto l’interesse a soffiare sul fuoco, magari camuffandosi da agnelli, quando dentro sono lupi rapaci. Costoro sarebbe necessario spazzarli via una volta per sempre. Purtroppo pare che invece a molto italiani piacciano ancora tanto e francamente riesce difficile comprenderne le ragioni di fondo. Per una reale promozione del bene comune, occorrerebbe realizzare una vera azione educativa, ma anche in questo campo dobbiamo dire che siamo assai carenti; prevale la propaganda, il proselitismo. Eppure ciascuno di noi può fare la propria parte, magari a partire da cose piccole, apparentemente banali e insignificanti, come quel signore anziano che ho visto ripetutamente di recente, lungo strada, raccogliere cartacce e metterle nel cestino. «Trovo bella la vita, - scriveva Etty Hillesum, la giovane ebrea olandese, morta in campo di concentramento, in piena seconda guerra mondiale - e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e “lavorare sé stessi” non è proprio una forma di d'individualismo malaticcio». Anche nel presente momento non dobbiamo perdere la speranza, ma perché fruttifichi dobbiamo saperci sporcare le mani.