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25 gen 2013
UNA PARITÀ CHE FA MALE
Scritto da Piergiorgio |
Letto 11535 volte | Pubblicato in Il mio blog
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Nella mia sconfinata ingenuità ho sempre immaginato che il genio femminile avrebbe aiutato noi maschi a liberarci, magari gradualmente, dall’istinto belluino che ci porta a ritenere immodificabile, se non necessario, ricorrere alla violenza per dirimere i conflitti che possono insorgere nei rapporti tra popoli. A quanto pare non è così.

Per questa ragione non ho mai considerato un traguardo di civiltà l’accesso delle donne al servizio militare. Ora si è compiuto un altro passo verso quella che c’è spacciata come parità di genere con l’autorizzazione, da parte del segretario alla Difesa americano, Leon Panetta, all’impiego in prima linea, nei combattimenti, da parte delle donne che prestano servizio nell’esercito americano. Intendiamoci, non è una novità assoluta perché già l’hanno fatto e altre donne hanno preso parte a guerre in ogni angolo del mondo. Che però tale decisione sia definita dallo stesso presidente Barack Obama un “passo storico”, mi induce soltanto una grande tristezza. Se per parità, le donne che scelgono di fare il militare, ma anche in altri impieghi, intendono quanto di peggio sappiamo fare noi maschi, allora non c’è motivo di rallegrarsi. Naturalmente non ho mai ritenuto veritiera, né del tutto fondata, neppure la retorica volta a dipingere la donna madre e sposa, incapace solo per questo di ricorrere alla violenza. La storia è lì a smentire anche questa raffigurazione. Però è altrettanto indubbio che, storicamente, la guerra e il guerreggiare siano state caratteristiche dei maschi più che delle femmine. Così come parrebbe antropologicamente fondata una prerogativa delle donne, consistente nel dare la vita più che la morte. O quantomeno la loro capacità di nutrire sentimenti diversi e un modo altro di guardare alla vita. È vero, la pace è qualche cosa che nasce dai cuori. Nella ricerca delle strade possibili per salvaguardarla, incrementarla, renderla fruibile a ogni persona, siamo tutti, indistintamente, chiamati a fare la nostra parte. In questo non c’è distinzione di sesso che possa in alcun modo salvaguardarci dalla fatica della ricerca, del cammino. Tutto però si tiene. Non basta soltanto desiderarla, la pace, o limitarsi ad invocarla senza porre segni concreti nel nostro agire che testimonino che vogliamo perseguirla. Può darsi che non sia ancora possibile immaginare un mondo senza più eserciti, né armamenti, ma almeno si potrebbe ragionevolmente operare perché quelli che esistono non siano organizzati come strumenti di offesa; che le armi non siano di sterminio di massa, che i contenziosi a ogni livello siano riportati dentro consessi internazionali realmente democratici e imparziali. Insomma si potrebbero fare molte cose per operare nel senso del disarmo; ad iniziare dalle coscienze, cui far seguire anche quello degli strumenti pensati per uccidere e dare la morte. In questo anche le donne potrebbero, eccome, giocare la propria preziosa parte, non certo imparando a combattere e uccidere, pensando, in questo modo, di rendere migliore, più professionale, l’esercito di appartenenza.

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