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14 gen 2012
QUEPAN TODOS
Scritto da Piergiorgio |
Letto 3763 volte | Pubblicato in Il mio blog
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La ricordo ancora in maniera molto vivida, perché mi colpì profondamente, la risposta che diedero gli Zapatisti, i ribelli del Chiapas, ai giornalisti che chiedevano quale fosse il loro progetto per il Messico: una sociedad en la cual quepan todos. Che tradotto, significa: una società nella quale ci sia posto per tutti. Talvolta parole, concetti, apparentemente semplici, tanto da apparire perfino banali, hanno la capacità di evocare scenari futuri ancora in grado di muovere a speranza; suscitare desiderio e voglia di impegnarsi per un cambiamento possibile.
Una società nella quale ci sia posto per tutti, in questo momento appare quasi una chimera, ed è arduo riuscire a intravvedere, dentro la cappa che ci avvolge, spiragli di autentico cambiamento, percorsi politici, costruzioni sociali, volti a perseguire appunto una società dentro la quale ci sia spazio per tutti. Appare piuttosto il contrario. Penso che molti, ed io sono tra questi, si sentano smarriti. Qual è, infatti, il peso della voce della gente comune in questo momento? Dei lavoratori, dei pensionati, dei giovani? Mi pare abbastanza insignificante. Prevale sopra quella di tutti, la voce dei mercati, della finanza, delle agenzie di rating. Entità, poteri senza volto, che dettano l’agenda anche alla politica, ai governi. Quale futuro ci attende? Difficile fare previsioni. Di certo se non ci sarà una reale inversione di tendenza, attraverso l’attuazione di riforme profonde, volte a promuovere e garantire coesione sociale, equità, giustizia e solidarietà tra le persone, il risultato più probabile da mettere nel conto, sarà una società ancora più frammentata, divisa e impoverita, nella quale esploderanno, diffondendosi inarrestabili, i conflitti sociali. Le statistiche, vedi ad esempio il rapporto Caritas-Zancan del 2011, ci dicono quanti sono i poveri in Italia, come sono divisi percentualmente per zona, per età ecc., ma non possono mostrarci il volto di ciascuno di loro. Ed è anche quanto manca troppe volte a quanti dovrebbero occuparsi della cosa pubblica. Senza voler mettere tutti quanti sullo stesso piano, sarebbe ingiusto e ingeneroso, ma cosa ne può sapere un parlamentare, un ministro o un funzionario qualunque, di che significa vivere con un solo stipendio in una famiglia, oppure trovarsi disoccupato o in cassa integrazione, o in altre situazioni di svantaggio, se non si concede mai il “lusso” di parlare con costoro? O che ne può sapere cosa significa non arrivare alla fine del mese, l’industriale per il quale i propri operai sono soltanto numeri da pareggiare con altri molto più importanti? E cosa importa poi della vita concreta delle persone ai vari speculatori ai quali importa soltanto il denaro “cantante”. Attendersi cambiamenti da queste categorie di soggetti, che pure esistono, sarebbe da sciocchi. Il cambiamento, se avverrà, sarà soltanto frutto della presa di coscienza da parte della gente così detta normale. A un patto però: che smetta, come hanno fatto troppe persone in passato, di volersi aggiungere a quanti, stando sopra gli altri, pensano semplicemente a riempire la propria pancia. Ma che, al contrario si agisca e si operi lasciandosi guidare da un unico imperativo: la costruzione di rapporti economico sociali e interpersonali, nei quali si faccia posto a tutti. Questo richiede un cambio profondo di mentalità in tutti noi e l’assumere come principio guida dell’agire personale e collettivo, il diritto alla vita, ad una vita dignitosa per tutti. Se questo non diverrà mentalità diffusa tra tutti, nessuna ricetta politica, economica sociale, potrà bastare da sola ad invertire la corsa verso il precipizio.

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