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Sono forse io il custode di mio fratello?
Sono forse io il custode di mio fratello?

La risposta di Caino a Dio, che in Genesi risuona come rifiuto all’impegno di responsabilità che l’essere parte della stessa umanità, comporta, è la medesima che è risuonata ininterrottamente nel corso della storia e che tutt’ora risuona, talvolta sinistramente, magari ammantata persino da giustificazioni di carattere religioso. Eppure, a ben guardare, siamo geneticamente fatti per l’empatia: quindi costituiti, predisposti per la compassione; per la comprensione e la solidarietà verso i nostri simili. Segno che l’occuparsi della felicità degli altri, è parte integrante del nostro essere uomini e viene prima ancora di ogni teorizzazione etica o morale.

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In molti hanno perso finanche

la speranza

non vedono all’orizzonte alcuna

luce

e di promesse vuote sono

stanchi.

Una persona senza occupazione

è come morta

e il vivere è solo un trascinarsi

stanco.

Viene meno il desiderio di esserci

e di contare.

L’ angoscia afferra l’anima

e la sgretola.

Se all’uomo è tolta la grandezza

del plasmare,

che cosa può dar sapore

alla sua vita?

Eppure siamo nati tutti per

creare;

per rendere un giardino questo

mondo.

Lo stiamo tramutando invece in un

inferno

usando male l’intelligenza di cui

godiamo.

  

Non serrano più i polsi,

non stringono caviglie

non suonano di freddo

e sordido metallo:

sono impresse dentro l’anima,

con marchio che è di fuoco.

I lacci sono occulti,

e mascherati bene:

Invisibili è il nome

di quanti oggi imprigiona.

La gente pare cieca

e finge anche sorpresa;

pare non avvedersi

dei pregiudizi effusi

disseminati ovunque.

Come gramigna crescono

e rinserra sempre gli Ultimi:

li etichetta

espunge

confina oltre i margini.

Qui a morire è l’Uomo

e sempre fuori le mura

della città che gode.

  

E guardami, per un istante solo!

Guarda dentro queste fessure

che stringo così forte

per trattenere l’anima

e il sole non mi accechi;

vi troveresti certo

un po’ della tua storia.

Forse ti accorgeresti

che sono proprio un Uomo.

Un Uomo!

Da quanto tempo

non sono più

considerato tale?

Pezzente, vagabondo,

straccione, mendicante;

questi – per dirne alcuni -

i miei titoli d’onore;

epiteti inventati

per segnare la distanza.

Son come una coperta:

avvolgono il mio corpo

mi celano ai passanti;

non velano le stelle

che ho impresse

sulla pelle.

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