Proviamo per una volta a sfrondare il Natale di tutti quegli orpelli che la lunga tradizione ci ha consegnato. Tentiamo di risalire all’evento di cui, per altro, sappiamo davvero poco.
Per cominciare non sappiamo il mese né il giorno in cui Gesù è nato. Anche l’anno pare ormai assodato si debba calcolare un po’ prima della data convenzionale conosciuta. Quanto poi al fatto che i suoi genitori siano giunti a Betlemme pochi giorni prima o lo stesso giorno i cui è nato è assai improbabile. Qualcuno mette in dubbio perfino il fatto che sia nato a Betlemme, indicata più come località teologica, che geografica e che in realtà sia nato là dove per lunghi anni è vissuto: Nazareth. Quanto alla mangiatoia, potrebbe trattarsi della stanza adibita a dispensa, più che di una greppia e la presenza del bue e dell’asinello essere un’iconografia presa da racconti apocrifi. Quanto ai pastori, la cosa certa è che erano considerati dei poco di buono; gentaglia dalla quale stare alla larga. Ma non è forse meglio così? In un tempo nel quale (pare il nostro) quanti contavano erano considerati delle divinità e il Dio che professavano nella terra che da “promessa” era divenuta luogo di prigionia, era considerato inarrivabile per la maggior parte della popolazione, ecco che il Dio Misericordioso e fedele si manifesta in un bambino bisognoso di tutto. Figlio di una coppia di modeste condizioni, povero tra poveri, costretto a iniziare la sua vita tra mille difficoltà. Allora cosa ci azzeccano i presepi divenuti pretesto di divisione e di guerra ai poveri, quelli veri, in carne ed ossa di oggi? Cosa c’entrano certe canzoni melense, panettoni, luminarie, bancarelle, doni fatti per impressionare, anziché rallegrare e banchetti luculliani, cene sfarzose, con il Natale? Povero Gesù ancor oggi strumentalizzato, bistrattato, strattonato di qua e di là come fossi un trofeo, anziché essere contemplato nel volto di quei 700 e più bambini che quest’anno, nel cercare una vita degna di questo nome, sono affogati in mare. Oppure in quello dei circa 30 milioni che dall’inizio del 2014 sono stati costretti a lasciare le proprie case a causa di guerre, violenza, persecuzioni e condizioni climatiche. Per non parlare delle migliaia di bambini che ogni anno continuano a soffrire e morire a causa di guerre, terrorismo, fame, malattia. A che serve commuoverci dinanzi a te, Gesù, adagiato sulla paglia se non sappiamo fare posto nel nostro cuore, nella nostra vita, nelle nostre scelte a tutti questi innocenti? Come festeggiare degnamente la tua venuta se continuiamo a farci guidare dal nostro egoismo? A cosa serve, e che senso ha, erigersi a difensori dei valori cristiani (quali poi?) se non ci lasciamo inquietare da tutto ciò che provoca sofferenza e morte in tante persone vicine e lontane? No davvero, io non me la sento di celebrare il Natale, questo tipo di Natale e non mi preoccupo di allestire il presepe. Preferisco osservarti, Bambino Gesù, spoglio sulla mia scrivania perché così non sono distratto da ciò che non è essenziale e posso vedere oltre quella tua immagine. Posso vedere e sentire il grido di quanti sono oppressi, sfruttati, dimenticati, considerati degli scarti e sentirmi, almeno un po’, parte di loro. Ho trovato l’immagine di un bimbo palestinese che osserva da una feritoia. Amo pensare che quel bimbo somigli a te e che il suo sguardo così intenso non sia dissimile da quello che avevi tu quanto eri bambino. Uno sguardo preoccupato e interrogante, ma anche colmo di speranza e di attesa come sanno avere i bambini. Allora aiutaci a rispondere a questi sguardi perché a nessun bambino sia più rubato il futuro e per tutti noi possa iniziare un era di pace e di fraternità.