Il Vangelo è molto chiaro al riguardo: “Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”.
Ciò nonostante nella lunga storia della Chiesa, e ancora ai nostri tempi, ci sono stati e ci sono cristiani, meglio persone che si dicono tali, a iniziare da prelati di “alto rango” che come i farisei dello stesso brano del vangelo citato “ascoltavano (ascoltano) tutte queste cose e si facevano (si fanno) beffe di lui”. Nulla di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire, leggendo quanto la stampa ci riporta in questi giorni in ordine agli scandali denunciati anche in due libri usciti da poco, in Vaticano. Chi immaginava potesse bastare papa Francesco per imprimere una svolta radicale dentro la Chiesa in ordine all’uso di beni e ricchezze potrebbe sentirsi deluso, ma è bene riflettere che neanche il Papa da solo può compiere un simile miracolo. Certo, papa Francesco si è posto su una linea di vero cambiamento ma quanti remano contro sono tanti, non solo in Vaticano. La conversione richiesta riguarda tutti noi, non solo la struttura gerarchica, anche se agli alti livelli è più che mai urgente e necessaria. La domanda ritorna più che mai pressante: in chi poniamo davvero fiducia? In Dio o nella ricchezza? Sono più di quanto crediamo anche fra i semplici fedeli quanti ritengono che sì, la fede è importante ma, come diceva un certo cardinale, la Chiesa non può vivere solo di Ave Marie. Il punto è proprio qui. È chiaro che per vivere tutti abbiamo bisogno di beni materiali e pure che per operare a favore di quanti versano nel bisogno occorrono beni e denaro. La questione sta nell’uso che se ne fa di tali beni e nell’importanza che si assegna loro. Se la logica che muove la Chiesa è la medesima del mondo, della speculazione, dell’accumulo e dell’interesse, allora non c’è nessuna differenza tra una holding qualsiasi e una comunità ecclesiale. Non per niente San Francesco, che in questo è stato radicale, volle che i frati non possedessero niente e finché fu in vita, riuscì bene o male a perseguire il suo ideale. Poi la storia dell’ordine s’incaricò di proseguire in modo diverso. Il possesso di beni e ricchezze nella Chiesa è uno scandalo che deve cessare, e soprattutto deve cessare la commistione tra fede, affari e potere. Quanti sono persuasi che si possa servire contemporaneamente Dio e la ricchezza, per quanto si fregino di titoli altisonanti e si reputino rappresentanti di Dio in terra, sarebbe “meglio per loro che gli venga messa al collo una macina da mulino e siano gettati nel mare, piuttosto che scandalizzino uno di questi piccoli”.
Don Dante, parlando dei preti, scriveva,: “È necessario che noi restiamo totalmente uomini, evitando di chiuderci in uno spirito di egoismo individuale o di casta. Nessuno deve essere più aperto di noi ai problemi del mondo, alle ansie, alle aspirazioni, alle preoccupazioni degli uomini. Se non orientiamo così il nostro potenziale affettivo, il nostro amore si rattrappirà nell’egoismo, o diventerà mania per il denaro o per i gatti”. Sogno che un giorno, possibilmente non troppo lontano, il Vaticano diventi un museo e che la Chiesa, anche nella sua gerarchia, ricominci a camminare sulle strade polverose degli uomini, “ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi, senza prendere nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro […] annunciando la buona notizia”.