In Europa è allarme per il primo caso di ebola in Spagna e giustamente si corre ai ripari, ma quanto avviene là dove le persone muoiono a centinaia, quanto ci tocca davvero? quanto ci inquieta e cosa facciamo realmente per porvi rimedio?
Se le istituzioni internazionali intervenissero con la medesima efficienza che riservano a cause molto discutibili, potremmo definirci finalmente più umani. Per nostra fortuna ci sono persone (più di quanto si creda) che operano indefessamente, a rischi della propria stessa vita, per portare sollievo e guarigione. Almeno costoro, a livello personale le possiamo aiutare. Ecco quanto scrive, ad esempio, Massimo Galeotti, Infermiere di Medici Senza Frontiere che opera in Guinea. «IL triangolo detta morte, così mi viene da descrivere questa parte di mondo dove l'equipe MSF sta lottando giorno e notte per fermare l'epidemia di Ebola. Qui i morti si contano giornalmente: è un'ecatombe. IL giorno del mio arrivo è stata ammessa una famiglia intera, padre, madre e le Loro tre figlie di 7, io e 13 anni. Dopo soli due giorni i genitori erano morti, tra i pianti e le urla delle figlie che hanno dovuto condividere la tenda con loro fino alla fine. Jetta si è addormentata e non si è più svegliata. Mary non ha guardato il corpo detta sorella, non ha pianto. Avrei voluto abbracciarla. Non si è mossa per ore. La sera sono tornato da lei con La cena e Le ho chiesto di fare uno sforzo, spiegandole che mangiare e bere aiuta l'organismo a combattere l'Ebola. Non ha mosso la testa di un millimetro. Il giorno dopo L'ho trovata sdraiata per terra, dormiva. Le ho preso La mano e mentre La stringevo, Le ho detto che 'non mi sarei arreso, e che sarei rimasto accanto a lei fino a che non avesse assaggiato il cibo che Le avevo portato. Dentro La tuta d'isolamento faticavo a respirare, eppure mi sforzavo di starle accanto perché volevo vedesse che m'importava davvero di lei. Poi mi ha parlato: mi chiedeva di farle il bagno. Era debole, a stento riusciva a stare in piedi, ma lavarsi L'ha fatta sentire meglio. Le ho avvicinato il piatto e sono rimasto altri minuti ad aspettare che Lei aprisse La bocca e mangiasse qualche boccone di riso. Non so descrivere l'euforia che ho provato in quel momento. Certo non era Il segno della guarigione, ma comunque un passo in avanti, una meta che non avrei creduto di raggiungere. Quando sono andato a salutare, prima di partire, Mary mi ha guardato, ha preso il piatto e ha iniziato a mangiare, mentre ero seduto al suo fianco. È davvero strano come ci si possa Legare a una persona che si è conosciuta poco, con La quale non si è potuto neanche comunicare. E oggi è arrivata finalmente la grande notizia: Mary è guarita, ce l'ha fatta. Mi sono coperto il volto con le mani e ho pianto. Non ho La presunzione di pensare di aver salvato la vita a quella ragazzina, ma sono certo che L'incoraggiamento, la vicinanza e la testardaggine le siano state da spinta. Mary ha fatto il resto. Non vedo l'ora che sia domani per iniziare una nuova sfida al fianco di chi soffre e stimolare il cambiamento che voglio vedere nel mondo».