I comuni mortali, quando possono, si mettono a tavola per mangiare e in genere lo fanno in un momento di pausa dagli impegni quotidiani. Molti, troppi, non possono nemmeno permettersi questo; altri mangiano saltuariamente e altri ancora devono ricorrere alla carità pubblica o privata per riempirsi lo stomaco.
Ci sono persone che mangiano da sole, condendo i loro pasti con lacrime di nostalgia e altre che se potessero, almeno qualche volta, concedersi qualche prelibatezza… Il mangiare è un atto eminentemente sociale, anche se di questi tempi in troppi lo abbiamo dimenticato. Spesso non ci consentiamo, presi come siamo da mille cose da fare e incapaci, anche quando ne avremmo tempo, opportunità e possibilità di farlo in modo conveniente, imparando, in tal modo a dare sapore la nostra esistenza. Mangiare, per lo meno nella nostra cultura e anche nelle nostre tradizioni più autentiche, rimanda al concetto di convivialità. E il farlo in serenità e compagnia è certamente l’ingrediente più prelibato. Mangiare assieme significa scambio d’idee, modi di vivere e di pensare. Significa dialogo. È un rito fatto di suoni, colori, immagini e sapori. Serve a rinsaldare legami d’affetto e di amicizia. In una parola, è vita. I potenti, invece, così ci dicono i media, quando pranzano, lo fanno come lavoro. Sì, insomma, stando alle cronache, che qualche volta, bontà loro, indugiano anche nella descrizione del menù, affermano che pranzi e colazioni dei potenti sono pranzi e colazioni di lavoro, il che fa presumere che anche in quei convivi, quanti vi partecipano, altro non facciano che continuare le faticose e intense conversazioni avviate in precedenza. Dovrebbero essere piuttosto indigesti, se così fosse. Difficile da credersi. Immagino che anche lor signori gradiscano conversazioni più amene e distensive mentre consumano un’aragosta o degustano un buon bicchiere di vino. E allora perché definirli pranzi di lavoro e perderci tante parole per parlarne, quando si tratta del semplice espletamento di un bisogno fisiologico che è di tutti? A noi, francamente, basterebbe che quanti governano facessero bene il loro lavoro nel tempo che vi dedicano in orario d’ufficio, per così dire. Saperli intenti a pranzare, e quindi in pausa dagli impegni quotidiani, non ci guasterebbe per niente la giornata, purché il resto del tempo lo dedichino realmente nel tentare una qualche soluzione ai mille problemi che quotidianamente affliggono migliaia di persone. Suppongo che nessuna persona dotata di buon senso avrebbe nulla da ridire, sapendo che i propri governanti dedicano anche del tempo per mangiare, ritemprarsi e riposare. Ripeto: quello che alla gente normale preme sapere è se gli stessi dedicano sufficiente tempo energia e impegno a risolvere i problemi che devono risolvere, non certo sapere che anche mentre mangiano conversano degli stessi argomenti. E quando vanno al cesso, se è lecito chiederselo, che fanno? Leggono qualche dossier urgente o si ripassano un qualche discorso, magari quanto dovranno dire in conferenza stampa di lì a poco? Ma siamo seri! Anzi, direi semplicemente normali, cioè umani.