A partire da oggi, anche i barboni, gli emarginati, i senza casta, possono affermare di avere un loro santo in Paradiso. Don Dante, il prete dei barboni, ha fatto quel “tuffo nell’oceano della misericordia di Dio” come amava definire la sua morte. E da “peccatore perdonato”, altra sua definizione, ha potuto finalmente contemplare il volto di quel suo Signore, che è stato sempre suo riferimento di vita, ragione prima del suo operare e del suo essere; motivazione profonda delle sue scelte.
Accanto alla tristezza per la mancanza materiale della sua presenza, in questo momento, mi pervade un senso di gioia e di riconoscenza profonda per averlo avuto come amico, fratello e compagno di cammino per lunghi anni. A lui devo tantissimo. Ci ha legati un’amicizia profonda, fatta di grande rispetto vicendevole, di affetto sincero, di sostegno reciproco nei momenti di difficoltà e di tanti momenti di spensierata allegria, sì, perché con don Dante ci si divertiva anche, quasi anticipo di quel banchetto del Regno futuro al quale ci si immaginava di poter assidere, assieme ai nostri compagni di strada, nella finalmente ritrovata concordia e accettazione vicendevole. In fondo il senso ultimo dell’opera avviata con la nascita del Punto d’ incontro, non consisteva forse nello spezzare il pane della vita e il vino della gioia, per una ritrovata fraternità tra tutti, iniziando dagli scarti di questa nostra società? Il suo, il nostro sogno, è stato quello di porre un piccolo segno di quella chiamata alla condivisione del nostro essere e del nostro avere che è fondamento, per i credenti cristiani, della fede nel Dio rivelatoci da Gesù di Nazareth. E don Dante ha disseminato, lungo tutti questi anni, il suo cammino di innumerevoli gesti di generosità e condivisione con i più poveri, a partire dalla quotidianità così frequentemente banalizzata tante volte da noi tutti o snobbata, nella ricerca del gesto eclatante. La sua testimonianza di amore fedele verso i più poveri si è esplicitata non solo nella scelta fatta a suo tempo di condivisione con quanti fanno più fatica a vivere, lasciando la prestigiosa parrocchia si san Pietro, ma forse ancor più nella scelta di rimanere al suo posto anche dopo aver rinunciato al suo ruolo dirigente, abitando una modesta stanza parcamente arredata, accettando la fatica della solitudine, del declino fisico, del dover accettare di essere accudito per ogni necessità, immerso nella preghiera continua per tutti. E in questa situazione di fragilità, reggendosi a fatica sulle gambe, voler essere presente al pasto consumato dagli ospiti, per porgere loro un saluto; rivolgere loro una parola, interessarsi a come stavano. Magari senza essere da qualcuno riconosciuto (visto il grande turn over fra gli ospiti), ed essere scambiato per una vecchietto qualsiasi che abitava la casa. Immaginando il suo ingresso nella Vita piena, amo pensare che sia stato accolto da sua mamma Amalia, della quale conservava una memoria grata e commossa, e da quei tanti amici che lo hanno preceduto e dei quali faticava a ricordare i nomi – uno dei suoi limiti; accadeva un po’ con tutte le persone – ma che certamente portava instancabilmente nel cuore e per i quali si commuoveva, ricordandone le vicende. Credo che don Dante sia stato un dono di Dio per molte persone e che la cittadinanza tutta debba essere riconoscente a questo prete che ha saputo porre un segno di credibilità evangelica nei nostri tempi. Sarebbe però tradirne la memoria, volerne fare un’icona, un santino, rifiutando la provocazione che ci viene a tutti quanti dalla sua storia di uomo, di credente, di prete che si è lasciato convertire dai poveri fino a farsi loro compagno di strada. Il messaggio che ci viene da don Dante, attraverso la sua esistenza, più ancora che dalle sue parole, che pure ha pronunciato con la schiettezza che lo contraddistingueva, è che siamo tutti fratelli perché figli di uno stesso Padre; che non hanno ragione di esistere discriminazioni di sorta, esclusioni. Che tutte le persone hanno diritto a poter vivere una vita dignitosa; che non si può escludere nessuno dal banchetto della vita e che per far questo bisogna che ciascuno si assuma la sua parte di responsabilità. E infine che tutto questo deve essere fatto accettando di pagarne il prezzo, se occorre; si, perché a parole sono in molti a sottoscrivere, ma quando si opera davvero in questa direzione, si viene anche tante volte osteggiati, considerati dei visionari. Magari poi anche riveriti e qualche volta osannati; difficilmente, o più raramente, imitati.