L’iniziativa è partita da un’idea del Gruppo Locale di Trento dell’Istituto Paulo Freire Italia. «La speranza – come recita il comunicato che la promuove - è quella di trovare persone che, a partire dai primi di novembre per almeno dieci giorni, possano vivere almeno una notte e parte del giorno in una microarea abusiva al margini della città di Trento, per essere vicino ad un popolo “dimenticato”». Sono trascorsi ormai tre anni da quanto il Consiglio Provinciale di Trento ha approvato la legge “Misure per favorire l'integrazione dei gruppi sinti e rom residenti in provincia di Trento” (L. P. 12 del 22 ottobre 2009), ma a distanza di tanto tempo non si è ancora concretizzato alcunchè.
Alle buone intenzioni non sono succeduti i fatti, segno che la questione sinti “fa paura”, probabilmente anche ai ben intenzionati. Spiace doverlo constatare, ma credo che la ragione principale risieda nel fatto che come tante altre categorie, anche i sinti rientrino tra quelle che non contano agli occhi di quanti hanno responsabilità amministrative. Se solo fossero una lobby che “pesa” al momento delle elezioni, certamente qualcosa in più si sarebbe fatto. Eppure dovrebbe essere di tutta evidenza, anche agli occhi di quanti non hanno ragioni di carattere ideale per essere sostenitori di un progetto volto a favorire soluzioni di carattere integrativo, che la messa al bando, nei fatti, quando non anche nelle parole, di una realtà sociale comunque presente sul nostro territorio, ha delle ricadute negative e anche dei costi, tra l’altro, molto più alti. Ma tant’è! La miopia di tanti politici pare essere una malattia professionale come la silicosi per i minatori. A parole sono in molti a dirsi d’accordo sulla necessità di riconoscere una qualche forma di intervento volta a sanare situazioni di vita indegne di persone; magari stabilendo rigidi paletti che marchino le differenze tra noi e loro. Eh, si, perché per tanti la questione dirimente è proprio questa: stabilire la distanza, e se proprio qualche cosa si deve fare, sia chiaro a tutti che è frutto di generosa liberalità che piove dall’alto, a conferma che noi, i garantiti, siamo in fondo gente di buon cuore. Ma è proprio qui che risiede l’errore; nell’incapacità di riconoscere il diverso da me, nella sua dignità umana. Questo è quanto crea l’abisso dell’incomunicabilità; che crea e mantiene la ghettizzazione; rinfocola i pregiudizi e perpetua le contrapposizioni. L’iniziativa intende «celebrare i tre anni dalla legge “incompiuta”, provando a avvicinare “due mondi” che vivono insieme senza conoscersi e che spesso vivono incomprensioni e difficoltà collegate a pregiudizi e paure». Per questo motivo è tanto più meritoria. Se c’è una cosa della quale abbiamo estremo bisogno in questo nostro tempo, è quella di creare ponti tra le persone e i gruppi, cercando le soluzioni possibili e avendo il coraggio di correre i rischi che comporta il mettere la propria vita al servizio dei fratelli. «Per chi crede nell’utopia del regno, non esiste ostacolo insuperabile» (L’esodo dell’uomo libero-Josep Rius Camps). È un segno di speranza che all’iniziativa abbiano aderito molti giovani. Della loro partecipazione si possono leggere anche i resoconti al sito http://sintoperungiorno.jimdo.com/