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Sono forse io il custode di mio fratello?
Sono forse io il custode di mio fratello?

La risposta di Caino a Dio, che in Genesi risuona come rifiuto all’impegno di responsabilità che l’essere parte della stessa umanità, comporta, è la medesima che è risuonata ininterrottamente nel corso della storia e che tutt’ora risuona, talvolta sinistramente, magari ammantata persino da giustificazioni di carattere religioso. Eppure, a ben guardare, siamo geneticamente fatti per l’empatia: quindi costituiti, predisposti per la compassione; per la comprensione e la solidarietà verso i nostri simili. Segno che l’occuparsi della felicità degli altri, è parte integrante del nostro essere uomini e viene prima ancora di ogni teorizzazione etica o morale.

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Ti ha raccolto,

sono certo,

l’Amico.

Ti ha portato

con Lui

fin lassù.

Il mio pianto

non sa ancora d’antico,

ora si mescola

a quello dei più.

Questi poveri morti

sono nostri,

di noi tutti

rimasti quaggiù

E’ un giardino fiorito

quel che vedo,

con i semi piantati di fresco

Fiorirà quanto prima;

siamo in tanti

a volerlo

La violenza

futuro

non ha.

Le lacrime

non bastano

per lenire le ferite.

Sono tanti,

i perché senza risposta.

In questo mezzogiorno, s’è fatto buio fitto;

… come al Calvario.

Il sole si è oscurato,

e muore ancora l’Uomo,

ogni figlio di Uomo:

Bosnia Erzegovina,

Serbia,

Somalia,

Iraq,

Sudan,

Afganistan…

Giù, giù fino a Rostoh,

nella inquieta e ricca

Germania.

Sono i Gòlgota di oggi.

……….

Si muore al Sud di oppressione e fame;

si muore al Nord

perché di altro colore.

Sequenze interminabili:

di sofferenze

di agonie

di morti.

Occhi innocenti

e muti

al cielo sono rivolti.

Giù nei Pretori,

si gioca ancora a carte;

si gioca su chi puntare.

Beffardi chiedono:

“Sono forse io, il custode di mio fratello?”

 

Cristo, che della storia sei Signore,

lascia il tuo cielo; lascialo e torna

a stare in  mezzo a noi.

A camminare lungo le nostre vie.

Per queste strade polverose e sfatte.

Oh Dio che liberi e rinnovi,

dona coraggio e forza

e fede ancora,

perché si faccian sangue e carne

a rifiorir la vita;

questa nostra povera vita,

questa che non abbiamo noi.

Ed il tuo Regno venga,

sempre ed anche ora.

Non chiedermi perché,

non ho risposta.

Né ti so dire

se un’alba

sorgerà

senza cannone;

se mai sarà possibile

che giochi ancora.

Fermati e osserva:

riempiti di me

la mente e il cuore:

questo mio strazio

questo dolore

Poi, chiediti,

se ti sia lecito

chiamarti

fuori.

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