In questo nostro tempo contrassegnato dalla paura avremmo più che mai bisogno di capire, come affermava Marie Curie, perché nella vita niente deve essere temuto, deve solo essere capito. Capire di più, così da temere di meno.
Invece avviene proprio il contrario. Sulla paura sono fin troppi a speculare: inducendola, enfatizzando fatti e avvenimenti certamente preoccupanti. Si rassicura tramite provvedimenti spacciati come risolutivi, barattandoli con l’offerta di nuove schiavitù. Sono il moderno vitello d’oro al quale ci si inchina rinunciando a cammini di faticosa libertà. Ma quando si accetta di sottostare a “un dio costruito a immagine e somiglianza dei potenti, a un dio inventato come sedativo, alla miseria e ai dolori dei poveri”, ci si consegna al dio “dell’ordine stabilito sul disordine costituito”.[1] Condivido la preoccupazione e il duro commento della associazione milanese dei medici per i migranti, Naga, riguardo al contratto di governo Lega 5 Stelle, quando afferma che ciò che “colpisce al di là dei singoli provvedimenti è l’idea stessa di società che emerge. Una società frammentata, divisa, spezzata, impoverita, vecchia, triste e arrabbiata composta da tanti portatori d’interesse individuali senza un interesse comune collettivo”. C’è sempre bisogno di un qualche capro espiatorio da indicare quale responsabile di tutto ciò che non funziona e guarda caso, al di là degli slogan contro l’establishment, i soggetti contro i quali indirizzare l’astio e la rabbia della gente, a ben guardare, sono le persone più fragili: rom, migranti, poveri e carcerati. Tutti indistintamente da punire, oppure ignorare. Nessuno sforzo per cercare di capire le situazioni di vulnerabilità e marginalità. Nessuna analisi per cercare di comprendere fenomeni complessi e di non facile soluzione. Nessuna problematizzazione affrontando tali questioni. Tutto ridotto a questione di ordine pubblico dove il volto delle persone scompare. Non si parla più di persone ma di problemi da risolvere, di grane da liquidare. È un vento che soffia forte, questo della semplificazione e della risoluzione tranchant delle problematicità oggi presenti, che seduce anche quanti si definiscono alternativi alle forze più retrive, populiste e reazionarie. (A livello locale, vedi la proposta di usare l’esercito in città a supporto delle forze di polizia). Forse perché tentati pure loro dal demone della disgregazione. La ricomposizione dei frammenti dentro una visione inclusiva, solidale e partecipativa di società è decisamente più faticosa che la separazione manichea tra buoni e cattivi; giusti e ingiusti. E paga di meno, in termini di consenso elettorale. Ma come sempre accade, tra l’originale e la copia, chi sceglie, sceglie sempre l’originale. La rincorsa muscolare a dimostrarsi più incisivi nel combattere i poveri anziché la povertà e le diseguaglianze, il voler accarezzare per il verso del pelo le pulsioni più istintive, di pancia della gente, anziché porsi e proporsi come forze con proposte e programmi alternativi non produrrà se non un amalgama informe di società, destinata inevitabilmente al suicidio. Ma, come affermava Khalil Gibran, “nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia. Perché oltre la nera cortina della notte c’è un'alba che ci aspetta.” Sta a noi volerlo credere e operare perché sia possibile. Nonostante tutto rimango fiducioso perché a dispetto del vento di tramontana che soffia apparentemente impetuoso e ripugnante, siamo ancora in molti a non volerci arrendere.