Pare che di manguste ne esistano 34 specie, ma tutte molto simili quanto a forma e abitudini. Scorrendo il testo del “contratto per il Governo del cambiamento”, sottoscritto da Salvini e Di Maio, è difficile sottrarsi alla tentazione di equiparare i due estensori al “simpatico” animaletto dal corpo allungato, le zampe corte, il muso appuntito e la coda cespugliosa, affusolata.
Comunemente si pensa che le manguste si nutrano di serpenti (vale a dire animali dal morso velenoso), ma in realtà la maggior parte delle manguste sono animali opportunisti e si nutrono di piccoli vertebrati, insetti e, occasionalmente di frutta. Si parva licet componere magnis, a mio modesto parere, tanto quanto le manguste, le due forze politiche che si apprestano a dare vita al nuovo governo, percepite dagli elettori quali forze di cambiamento, si apprestano in realtà a mostrarsi quanto mai opportuniste. Come quelli delle manguste, gli estensori del contratto hanno mostrato di avere occhi di modeste dimensioni e orecchie piccole. Con tutta probabilità è questo deficit uditivo e visivo che li ha portati a immaginare di poter risolvere in modo draconiano questioni e problematiche che per la loro complessità avrebbero bisogno di un approccio di ben altro respiro. Ma d’altra parte l’esito non poteva essere diverso, considerato che, al pari dei richiamati animali, anche i giallo verdi si sono manifestati quali veicoli di rabbia nelle loro esternazioni in più occasioni. Ma se la rabbia talvolta può avere delle ragioni che la giustificano, certamente non può costituire una componente di un’azione di governo, che per sua natura deve essere volta alla soluzione dei problemi in campo secondo naturalis ratio. Non pare di riscontrarne molta in capo almeno ad alcune delle proposte avanzate. Ne ricordo qualcuna. Non mi pare un esempio di reale cambiamento nel segno di contrasto all’evasione fiscale il preannunciato ennesimo condono mascherato quale “pace fiscale”. La tanto celebrata flat tax, tassa piatta, basata su una aliquota fissa, avremo modo, se attuata, di verificarne la profonda ingiustizia ed i risvolti iniqui che si riverberano a danno delle categorie meno protette. In tema di giustizia, poi, è del tutto evidente che la presunzione, l’arroganza e la distonia la fanno da padrone. Se la giustizia dovrebbe essere “quella virtù rappresentata dalla volontà di riconoscere e rispettare il diritto di ognuno mediante l’attribuzione di quanto gli è dovuto secondo la ragione e la legge, e quella sociale dovrebbe avere il fine di garantire l’eguaglianza dei diritti di tutti i cittadini, la libera esplicazione della loro personalità, l’equa ripartizione dei beni secondo le loro necessità e l’apporto da essi dato alla società” (cfr enciclopedia Treccani), non ci siamo proprio. È piuttosto una “giustizia” vendicativa quella che si intende perseguire, ritenendo che siano gli altri (quali altri poi è facile immaginare) i reprobi da punire il più severamente possibile, senza sconti e senza possibilità di recupero, in contrasto palese con lo spirito e la lettera della nostra Costituzione. Anche il tema immigrazione è affrontato sic et sempliciter quale problema di ordine pubblico senza il minimo sforzo di approfondimento e comprensione del fenomeno stesso. Insomma se il buongiorno si vede dal mattino, non pare che sia dei migliori quello che ci attende.