In tempi di riforma del mercato del lavoro, di scontro sull’articolo 18, di messa in discussione di diritti che sembravano acquisiti, la parabola del vangelo di domani offre dei buoni spunti per qualche riflessione.
La storia è abbastanza nota a tutti, anche a quanti non praticano, oppure si definiscono non credenti. Lo scenario è quello abituale un tempo: la piazza del paese, persone in attesa di essere chiamate a lavorare, il padrone della vigna che si presenta in piazza a ingaggiare lavoratori a tutte le ore; perfino un’ora prima che termini la giornata. Si diceva che la scena descritta nella parabola rappresenta qualche cosa che era abituale un tempo, neanche molto lontano, e che quanti hanno una certa età ricordano piuttosto bene, specie nel nostro Sud. Però non è del tutto vero che lo scenario descritto raffiguri qualche cosa di confinato nel passato. È tremendamente attuale. Certo, oggi non è la piazza del paese, il luogo nel quale s’incontrano domanda e offerta di lavoro; piuttosto la piazza virtuale, ma le modalità di assunzione sono pressoché le stesse. È il padrone, oggi ormai senza volto, che sceglie a chi offrire qualche rara occasione d’impiego, per quanto tempo e con quale compenso. Il lavoratore può definirsi già fortunato se e quando gli capita qualche incarico. I diritti dei lavoratori paiono essere diventati un ostacolo, così ci dicono in tutte le salse possibili immaginabili, che si frappone pesantemente alla possibilità di ampliare la platea degli occupati. È enfatizzato al massimo il ruolo del mercato, a quello ci s’inchina e si sacrifica ogni bisogno. Il mercato è l’idolo al quale non è consentito non sacrificare e quanti si provano anche soltanto ad avanzare qualche obiezione, sono tacciati da trogloditi fuori dal tempo. Il padrone della vigna della parabola evangelica di cui abbiamo detto è un padrone un po’ particolare perché, contro la logica imperante anche al suo tempo, che fa? Esce e chiama al lavoro anche operai dei quali non ha strettamente bisogno. Lo fa perché non può accettare che ci siano persone alle quali sia preclusa la possibilità di sfamarsi. Così dopo essere uscito all’alba a ingaggiare lavoratori, esce anche alle nove, a mezzogiorno, alle tre e pure alle cinque, un’ora prima che termini la giornata lavorativa. Qual è il datore di lavoro, pubblico o privato, che sia mosso da medesimi sentimenti? È piuttosto la logica del profitto, dell’accumulo, del guadagno, della convenienza, che determina il da farsi in ogni campo. Già conosco le possibili obiezioni: l’economia ha le sue regole e la matematica non è un’opinione. Come a dire: da certe regole non si può derogare. Mi permetto soltanto una domanda: ne siamo davvero certi? Abbiamo mai provato a fare diversamente? La logica del padrone della vigna ha anche un altro risvolto. A tutti i lavoratori, a chi ha iniziato all’alba, come agli ultimi arrivati che hanno lavorato meno di un’ora, dà il medesimo compenso e questo, ai primi, e probabilmente anche a molti di noi, appare una palese ingiustizia. A quanti mormorano contro di lui, osserva che non ha fatto torto a nessuno, avendo dato quanto concordato il mattino, ma di voler essere generoso anche con quanti sono arrivati dopo. Se a qualcuno l’atteggiamento del padrone pare ingiusto, è perché sono invidiosi. Il padrone della vigna, nel suo agire, è motivato dalle necessità e dalla felicità di quanti ha chiamato a lavorare per lui, e non da motivazioni antisindacali, come potrebbe sembrare. Non è così, mi pare, per quanti oggi pontificano sulla necessità di modificare diritti acquisiti in nome di un presunto maggior bene per tutti. Sono in aperta e palese contraddizione, nel loro agire, con quanto affermano pubblicamente; infatti, sono i diritti degli altri che mettono in discussione, non certo i loro, che al contrario implementano in continuazione. Loro, mica hanno bisogno di un articolo 18 per garantirsi un posto al tavolo dei privilegi e neanche capita di vederli arrossire per gli emolumenti scandalosi che si assegnano anche quando sono corresponsabili di fallimenti che gettano sul lastrico migliaia di persone. È vero, il padrone della parabola evangelica è un disadattato che non potrebbe stare nei salotti buoni e che nei talk show televisivi sfigurerebbe, però è solo la sua, la logica che a ben guardare ci può salvare, perché è quella che mette in cima a tutto l’uomo e i suoi bisogni.