Sono raccapriccianti le immagini che ci giungono dai teatri di guerra, specie dall’Iraq in questi giorni, ma non solo da quel paese. Quanti si erano opposti all’intervento militare americano, in primis il papa Giovanni Paolo II, avevano dalla loro valide ragioni per sostenere che la guerra avrebbe aggravato la situazione anziché il contrario.
Non è irrilevante che, magari con linguaggi diversi, sia i contrari che i favorevoli alla guerra, come soluzione dei conflitti, si rifacciano sovente a Dio, ma quale Dio? Gli uomini hanno sempre avuto bisogno di rifarsi a qualche divinità per giustificare le proprie azioni; solitamente attribuendo alla divinità pensieri, idee, atteggiamenti giudizi che sono soltanto di noi uomini. Come sarebbe bello si riuscissimo finalmente a liberarci da questa idea antropomorfica di dio, comunque lo si chiami, ci si creda o meno, per limitarci a dire che noi, siamo responsabili delle nostre azioni; buone o pessime che siano. Aver bisogno di rifarsi a Dio per sostenere le proprie ragioni, trovo che sia abbastanza infantile. Con questo non intendo affermare che chi si definisce credente non possa trovare alimento per la sua vita in quanto trova nei testi sacri di riferimento, ma se lo si fa in maniera acritica, fondamentalista, come fanno in tanti, torcendo a proprio uso e consumo parole scritte in epoche diverse dalla nostra, ebbene, anche se quella determinata parola la si volesse davvero considerare parola di dio, sarebbe giunto il momento di buttarla. Se la sensibilità umana odierna è giunta ad un livello di consapevolezza, di civiltà, di umanità maggiore di quella attribuita al proprio dio, significa che quel dio è un dio morto che non ha più nulla da dire agli uomini e alle donne del nostro tempo. Chiunque abbia in sé un minimo di ragionevolezza, comprende bene che nessun dio può volere la morte, le violenze e le atrocità che in suo nome si compiono verso le persone. È un fatto che ripugna alla coscienza moderna e se ripugna alla coscienza moderna significa che Dio è decisamente altro dalle raffigurazioni che di lui ci facciamo. Se fossimo meno presuntuosi, più cauti, più umili nel pensare Dio, probabilmente avremmo maggior timore di tirarlo in campo indebitamente, mentre al contempo ne tessiamo le lodi, definendolo con termini altisonanti, quali l’Altissimo, l’Indicibile, il Misericordioso, il Santo ecc. Io credo che Dio sia sempre dalla parte delle vittime; di tutte le vittime e quando mi trovo ad osservare immagini di guerra, non ho alcun dubbio che se un Dio esiste, è sempre là tra i morti ammazzati e non dalla parte di chi imbraccia in quel momento un AK 47, una pistola, un pugnale, oppure manovra un carro armato, guida un aereo o aziona un cannone. Dio non sta al tavolo degli strateghi della morte, né tantomeno nei salotti dei produttori e trafficanti di armi. Se Dio esiste, come credo, è un Dio mite, piccolo e impotente, non perché non sia onnipotente, ma perché lo è soltanto nel senso dell’amore. L’amore può tutto; tranne usare la forza muscolare che a noi piace così tanto, così tanto ci intriga e ci seduce convincendoci di saper distinguere in modo netto il bene dal male, portandoci coerentemente e conseguentemente a voler eliminare drasticamente ciò che riteniamo male, sopprimendo il nemico che lo incarna. L’umanità ha ancora una strada lunga davanti da percorrere per arrivare a bandire la violenza, ogni violenza dal suo seno. Le religioni hanno in questo processo una responsabilità molto grande da svolgere e lo possono fare tanto più e meglio quanto prima riescono a liberarsi da un’immagine di Dio che hanno rivestito coi loro panni.