Si narra che un professore, al chierico giunto agli esami finali di teologia, abbia rivolto quest’ultima domanda: «Chi è il capo della Chiesa? Se rispondi correttamente ti promuovo, diversamente dovrai ripetere l’esame» Il chierico, tutto infervorato e certo di conoscere la risposta, rispose, senza esitazione: «Il Papa!». «Bocciato!» ribatté severo il professore. «Torna un’altra volta».
Immagino non siano pochi, anche tra i credenti, quelli che si riconoscono nella risposta data dal chierico dell’ aneddoto riportato. Così come immagino non siano pochi quelli che non sanno che il papato è una funzione e non una consacrazione, al punto che, almeno sul piano teorico, qualunque battezzato potrebbe essere eletto papa. Questo per lo meno è quanto m’insegnava il mio vecchio parroco a catechismo, quando ero ragazzo, e non c’era stato ancora il Concilio Vaticano II. Va dato atto a Benedetto XVI di aver, non so quanto volutamente, con le sue dimissioni, contribuito a desacralizzare la funzione del papa che nel corso dei secoli era stata via via sempre più ipostatizzata. Non so cosa succederà in futuro. Non sono minimamente interessato al toto papa che già si è avviato. Spero vivamente nell’avvio di un cambiamento radicale dentro la Chiesa; nei suoi vertici istituzionali, nel modo di essere organizzata e di presentarsi, innanzitutto ai credenti, e poi anche al mondo intero. La Chiesa, come qualunque altro corpo sociale, ha bisogno di una organizzazione, ma il modo di essere organizzata non è indifferente e soprattutto non può presentarsi ancora seconda un modello medievale, quasi non fossimo entrarti nel terzo millennio. E se in passato ha copiato modelli presenti nella società del tempo, è ora e tardi che oggi lo faccia a partire dalla sorgente: cioè il Vangelo. In quello può e deve trovare le indicazioni, non certo pratiche, ma ideali, alle quali ispirarsi. Se avvenisse, sarebbe una rivoluzione, agli occhi del mondo, e tuttavia non farebbe altro che manifestarsi per quello che dovrebbe essere: sacramento di salvezza. Ovvero segno efficace di ciò che è chiamata a testimoniare. Vedremmo cadere titoli altisonanti, apparati sclerotizzati e segni di potenza che non fanno altro che celare il volto del suo unico Signore. Un Chiesa povera e di poveri, ecco ciò che è chiamata diventare, perché così si è presentato il Dio fatto uomo in Gesù Cristo. Noi cristiani non conosciamo altro Dio che il Gesù che muore per amore. Questo è l’unico Dio. “Nella visibilità pubblica più ovvia – scrive il filosofo Roberto Mancini - si delinea un cristianesimo scontato, innocuo per tutte le gerarchie fondate sul culto della potenza. Ma se si ascolta il racconto della passione di Gesù con il coraggio di esporsi alla sua luce, si vede quanto esso porti allo scoperto il sistema di falsità che fa da cemento alla società costituita». Se la Chiesa saprà e vorrà, anche nei suoi vertici istituzionali, lasciarsi interrogare da quest’unico Dio che a noi è dato conoscere, allora potremmo sperare in una nuova primavera capace di far fiorire la vera e autentica speranza. Speriamo che lo Spirito Santo soffi forte nel prossimo conclave e non si limiti soltanto a quel momento e soprattutto che siano in molti, ad ogni livello di responsabilità, a lasciarsi da lui ammaestrare.